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Alessio BONI, attore senza sosta

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Uno spettacolo su Giuseppe Verdi e la moglie Giuseppina Strepponi è l’occasione di un incontro con l’attore Alessio Boni. Che da quest’autunno sarà in Polonia per un film  sull’Olocausto, a lui il ruolo (ingrato) di selezionare gli artisti ebrei destinati alla morte. Lo vedremo poi su Netflix nei panni del tenente colonnello che affianca la pm Letizia Ruggeri per le delle indagini sul  caso di Yara Gambirasio.

Per professione, Boni finisce regolarmente nei corpi e anime dei geni e Grandi della Storia, è stato Ulisse, Caravaggio, Molière, Piaggio, Walter Chiari.

“Non mi resta che annientare la mia personalità per far spazio alla loro”. Fra i personaggi più burrascosi, Caravaggio, “che bello dire di no alla Curia e continuare a rappresentare la verità, le teste arruffate, i piedi sporchi, le Madonne non edulcorate”.  Protagonista di una fiction su Ulisse, si è convinto di una cosa, “devi essere pronto a tutto. Se tu sei pronto  ad avere un figlio, arriverà. Stesso discorso per uno spettacolo, film o libro”. E donna, dal 2016 è il compagno di Nina Verdelli, giornalista come il padre Carlo (ora editorialista del Corriere).

Incontriamo Boni a cinque ore da uno spettacolo dedicato a Dante Alighieri. Non fa una piega, tensione pari a zero: recita o è veramente tranquillo?

“Non sono mai nervoso. Più che teso, mi avverto proteso verso una cosa che sta per accadere.  Nina dice sempre che il giorno dello spettacolo non mi si riconosce più dalle ore 19 in poi, è come se volassi via. Io non me ne rendo conto ma forse sto entrando nel personaggio”.

Il sito di Alessio Boni esplode nel racchiudere un’attività ormai trentennale

SI contano  23 film per il cinema e 39 per la TV, 23 titoli teatrali, 3 corti,  un libro e due regie. “Vero, lavoro tanto e ringrazio il cielo quando mi chiamano. Non stacco del tutto neppure in vacanza, non ne avverto il bisogno”. Tanto per non smentire la tempra bergamasca, è nato 55 anni fa a Sarnico, sul Lago d’Iseo, laddove si producono le Riva, tra le imbarcazioni più chic al mondo. Viene da una terra forte, come il dialetto fatto di parole tronche, suoni aspri, ossuti, aspirati. Boni ha dovuto  sì neutralizzare l’accento orobico, ma non ha né dimenticato né ripudiato le origini, “Pöde ‘nda nač en bergamàsc”, dice, ovvero potrebbe proseguire la conversazione in dialetto. “Aggiungo che non ho mai smesso di tifare Atalanta, accade da quando era in serie B perché è facile scommettere sul cavallo di razza, meno su un ronzino”.

Fino ai vent’anni, ha combinato gli studi con il lavoro aiutando papà piastrellista. Qui la prima scuola di vita “posando piastrelle ho imparato a non concentrarmi sulle difficoltà che comparta la costruzione di una casa, che può essere uno spettacolo, un libro, un progetto. Procedo metro dopo metro, senza grilli per la testa, mai sollevato dal pavimento perché le cadute fanno male”. 

Alessio Boni si divide fra palcoscenico e set cinematografico.

Il bello dell’uno e dell’altro? “Nel cinema sei contornato da tantissimi professionisti, dal costumista a chi cura gli effetti speciali. In questo marasma devi riuscire, è questo il bello, a creare una tua campana di vetro che ti consenta di piangere perché tua mamma è morta o  gioire per un lieto evento. Il bello del teatro è l’atmosfera sacrale, il pubblico silenzioso ma partecipe: lo senti commuoversi, divertirsi, c’è un mutuo scambio di energie. E’ poi interessante vedere le diverse reazioni dalla Val d’Aosta alla Sicilia per cui il Napoletano applaude a scena aperte e il Romagnolo lo fa con quel sorriso dolce.” E il Bergamasco? “E’ molto composto, non  invade mai. Però alla fine degli atti, se ha gradito, si spella le mani, è tra i più calorosi in assoluto. Il Bergamasco è uno che si dona. Magari sarà che gioco in casa”.

Anna Franini
Anna Franini
Anna Franini, giornalista di Forbes e il Giornale. Scrive storie di Leadership, Imprenditoria, Innovazione. Intervista fondatori di aziende miliardarie, Premi Nobel, Breakthrough, Academy Awards, Pulitzer, Pritzker.
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