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Dove sono i ricchi del mondo? Chiediamolo alle aste

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Anche le “aste” fotografano un’Europa schiacciata fra i colossi Usa e Cina. E su tutti, comandano i millennial

Dici asta e la mente corre al colpo di martello, allo scoccare dell’”aggiudicato”, alle cifre da capogiro di alcune opere ed oggetti come il milione e 472 mila dollari per le Nike di Michael Jordan, per citare una recente aggiudicazione. Aste debitrici della regola delle tre D – divorzio, debito, decesso – che sono poi le cause principali per cui uno vende. Al netto delle scariche di adrenalina per chi acquista e delle malinconie, ma anche momenti liberatori di chi vende, le aste rimangono un formidabile strumento socio-economico, metro di misura di desideri, mode, gusti e tendenze del momento. S’aggiunga il fatto che identificano l’area dove si concentra la ricchezza del mondo ora corrispondente ad Asia e America a fronte di un’Europa che è un pozzo di tesori cui i due colossi attingono a piene mani.

In quest’inchiesta che coinvolge le maggiori case d’asta, analizzo il fenomeno

Crescono i millennial, dominano i Cinesi

A tacere della fase post Covid-19, questo secondo decennio ha visto un crescendo di volume d’affari per le case d’asta, dai giganti internazionali Christie’s e Sotheby’s alla Pandolfini, punta italiana. Il boom di investimenti in opere d’arte e beni di collezione si spiega in gran parte all’affacciarsi di nuovi acquirenti da Paesi che fino a qualche anno fa erano silenti. E’ il caso di Cina e Medioriente sebbene siano ancora gli Stati Uniti a dominare il mercato globale: gli Usa sono il Paese con più milionari e, come ricorda Guido Guerzoni, specialista di economia dell’arte, sono proprio i paperoni ad assegnare  “una media del 10% del patrimonio ai cosiddetti investimenti di passione. All’interno di questi investimenti, le categorie più popolari sono quelle dei gioielli, pietre preziose e orologi, l’arte è la terza categoria più popolare con una quota del 17%”. 

I nuovi frequentatori di case d’asta appartengono a nuove fasce anagrafiche oltre che aree geografiche, si sta infatti registrando un’impennata di utenti millennials. Filippo Lotti, Sotheby’s Italia Managing Director, spiega che “il numero dei millennials che si rivolgono a noi è quadruplicato rispetto a cinque anni fa. Ha inciso la virata verso il digitale con il quale, del resto, questa generazione ha grande dimestichezza”. 

Così come, lo fa notare Mariolina Bassetti, Presidente di Christie’s Italia, “le nuove ricchezze si concentrano proprio nella fascia dei trentenni e quando ti arricchisci il primo bene cui ti rivolgi è il collezionismo. Nelle nostre ultime aste online il 58% dei partecipanti era costituito da millennial.  Dietro tutto questo c’è poi un complesso movimento generazionale che motiva, per esempio, successi come quello di Everydays”. Everydays, opera digitale di Beeple, è stata venduta da Christie’s a più di 69 milioni di dollari, si trattava di un’asta online e per la quale si accettavano anche pagamenti in criptovaluta. Una combinazione di fattori che  ha visto partecipare 22 milioni di persone come spettatori e 33 offerenti in modo attivo, di questi  ultimi il 91% non aveva mai partecipato ad un’asta di Christie’s, più della metà era negli Usa, il 58% Millennial, il 6% Gen Z , il 33% Gen X e solo il 3% Baby Boomer. Il dato che più fa riflettere è il 6% della Gen Z.

Chi è il frequentatore seriale? Identikit

Qual è l’identikit del frequentatore di case d’asta? “Si tratta perlopiù di collezionisti o di persone molto curiose. Non c’è un profilo unico anche perché non vendiamo solo i Botticelli da 90milioni, ma anche gioielli da mille euro in su. Una cosa è certa. Ci muoviamo nel mondo del lusso, il nostro utente è mediamente benestante ma non necessariamente milionario, è incuriosito da beni che possono risultare superflui ma  che poi vanno a comporre  il mondo in cui vive, oggetti che finiscono nel proprio arredo, su polsi e dita, che parlano di chi li possiede. Poi ci sono acquisti sani e folli. Ci sono collezionisti che non condividono nulla, altri che invece collezionano per condividere”, spiega Lotti.

Mouse vs martello. Aste sempre più digitali

La pandemia ha accelerato processi in atto. Ne parliamo con Pietro De Bernardi, il direttore della Pandolfini, la casa d’asta fondata a Firenze dal bisnonno Luigi e che per volume di vendita (43 milione in pre-pandemia) è al primo posto fra le concorrenti italiane oltre che tra le dieci europee. Prima del 2020, spiega De Bernardi, “totalizzavamo il 10% di vendita in sala, 50% al telefono e 40% online. Dall’inizio della pandemia abbiamo registrato un +180% nell’online. La sala è passata da 10 a 5, un dato che non mi spaventa considerato che già prima pesava poco. I clienti importanti faticano ad assicurare la loro presenza fisica, non hanno tempo. Seguo le  aste di tutto il mondo e in sala, salvo qualche asta serale, vedi al massimo una decina di persone”. 

L’asta è anche spettacolo, un seguito di colpi di scena, perde dunque la sua fragranza quando atterra su una piattaforma digitale. Ben lo sa Filippo Lotti, battitore trentennale e che ancora avverte la scarica di adrenalina quando sale sul rostro iniziando con il lotto numero 1. Il colpo più emozionante? “Non è quello dell’aggiudicato, come si sarebbe portati a pensare, ma il primo. Così come non sono le cifre astronomiche ad elettrizzare, non conta se il lotto vale 1 milione o 10 mila euro, conta riuscire a venderlo al massimo del  suo valore. Il martello è qui con me e lotta”, prosegue accompagnando le parole con rintocchi di martello. “Lotta” perché è convinto che “come l’ebook non ha sostituito il libro cartaceo, così l’asta digitale non scalzerà quella tradizionale, per certi tipi di vendite sarà richiesta ancora la presenza. Ne sono convinto”.

Si andrà verso un ibrido, prosegue Bassetti che non nega le emozioni che possono scaturire comunque da certe aste online. Su tutte quella globale del 10 luglio 2020. “Per recuperare le aste perdute nei mesi precedenti realizzammo un’asta di Arte Moderna e Contemporanea in quattro locazioni diversi, con quattro diversi battitori e seguendo altrettanti fusi orari. C’era un unico schermo con il quartetto di sale. Un modo per tornare attivi”. Parecchio attivi se si considera che si totalizzarono 421 milioni di dollari. 

Una cosa è certa, a fronte del crescendo di operazioni da remoto, conterà sempre di più la forza commerciale e la reputazione del marchio.

“Avendo uno staff di esperti e capi dipartimento stimati, per molti clienti risulta meno importante veder dal vivo. Anche per questo, opere e prodotti vanno presentati al meglio, con foto di altissima qualità, video, soluzioni con realtà aumentata”, spiega De Bernardi.

Cosa va a ruba? Ultimi trend

Pandemia, ricchezze concentrate in aree geografiche e fasce anagrafiche diverse che impatto hanno sulla tipologia degli aggiudicati? Quali manufatti stanno cadendo in disgrazia e quali invece vengono alla ribalta? “Sta avendo molto fortuna il collezionismo di gioielli, orologi, prodotti piccoli e dunque facili da trasportare e da vedere da lontano. Ha successo tutto ciò che è ben visibile digitalmente”, spiega Bassetti.  In casa Sotheby’s, osserva Lotti, vanno a ruba “borse, borsette, prodotti di design, arte asiatica contemporanea e alcolici, dai vini ai distillati. Questa intera area copre il 45% delle nostre vendite”.  Sono invece in grande sofferenza gli arredi e i mobili antichi, una categoria leader fino agli anni Ottanta e poi in lenta decadenza”. E così se “negli anni ’80 il mobile trumeau veneziano o lombardo era uno status symbol e costava più di un Fontana. Ora non lo vuole più nessuno”, ancora Lotti. Che mette in guardia contro gli abbagli nella categoria design: “vi sono oggetti di design che possono essere riprodotti facilmente: pensi che sia un manufatto degli anni Sessanta e poi scopri che è stato fatto di recente a Cantù”. Quindi? “Ha senso comprare il prototipo, i pezzi primi, altrimenti si rischia”.

I vini sbancano

I grandi vini, cioè i “fine wine” protagonisti delle aste, possono davvero diventare protagonisti dei portafogli degli investitori? “Storicamente è dimostrato che i grandi vini hanno una rivalutazione importante nel tempo – spiega Alessandro Regoli, direttore www.winenews.it, media di riferimento di settore – un fenomeno che interessa non soltanto, e non più, pochi vini di Bordeaux (da Lafite a Latour, da Margaux a Mouton, da Haut-Brion a Cheval Blanc, a Petrus …) o di Borgogna (Romanée-Conti, Armand Rousseau – Chambertin Clos de Bèze …). Oggi è un mercato più ampio, con etichette da ogni parte del mondo, dalla californiana Opus One all’australiano Grange di Penfolds, allo spagnolo Unico di Vega Sicilia, e sempre più grandi vini italiani (Monfortino, Sassicaia, Masseto, Solaia, i cru di Barolo Giacosa, Gaja, Redigaffi, Brunello Riserva Biondi Santi, Soldera, Amarone Quintarelli …), capaci di aumentare il loro valore in modo significativo. Tanto che esistono sia una asset class, lo Swag (Silver, Wine, Art, Gold), dedicata agli investimenti in borsa che possono diversificare quelli classici (fondi, obbligazioni, azioni), sia il Liv-ex (London International Vintners Exchange), che “controlla” la redditività degli investimenti sul vino”. 

Vino che è il risultato di un’attività tangibile, possiede un’ottima longevità, ha una reperibilità e tiratura limitata e le cui “performance” borsistiche sono relativamente correlate all’andamento dei mercati azionari, tutte caratteristiche che un default di fondi sovrani non cambierebbe. 

“Il punto critico resta, però, quello che, per ottenere ricavi interessanti dall’investimento sui grandi vini, oltre ad una buona/ottima dose di expertise, e aver costruito una rete di rapporti specialistica – perché il segreto fondamentale è quello di acquistare questi vini prima della loro effettiva uscita sul mercato – bisogna fare un po’ una scommessa”, sottolinea il direttore WineNews, Regoli. La logica è sostanzialmente quella collezionistica, per un bene, il vino, capace di accrescere la propria qualità nel tempo, avere una diffusione relativamente scarsa e che, con gli anni, si riduce ulteriormente.


“Una logica che indirizza la scelta verso i “top lot” di pochissime cantine molto prestigiose, italiane e non, e che rientrano nell’interesse di chi fa questo tipo di investimenti attraverso le aste, vero e proprio “mercato secondario”, i cui risultati sono seguiti molto dai mass media, e che si stanno un po’ aprendo anche a cantine emergenti, ma sempre in un portafoglio molto ristrettissimo. Un mercato e un mondo – conclude il direttore WineNews – che va approcciato professionalmente, e con buona disponibilità di denaro. 40.000/50.000 euro all’anno possono rappresentare una base per cercare di accaparrarsi le bottiglie che davvero “contano”, e che possono rilevarsi un investimento redditizio. Si tratta, ricordiamolo, di acquistare, in casse da sei, bottiglie costose dal prezzo unitario che parte, in media, come minimo da 500 euro a bottiglia. O meglio ancora formati particolari”.

Anna Franini
Anna Franini
Anna Franini, giornalista di Forbes e il Giornale. Scrive storie di Leadership, Imprenditoria, Innovazione. Intervista fondatori di aziende miliardarie, Premi Nobel, Breakthrough, Academy Awards, Pulitzer, Pritzker.
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