È dal 1895, anno in cui il patriarca Daniel avviò l’impresa, che sull’impero Swarovski non tramonta il sole. Leader assoluto nella manifattura di cristalli, come confermano i 3,37 miliardi di fatturato. Gli Swarovski sono una settantina, ognuno ha azioni in quest’azienda a conduzione familiare e da sempre condotta da uomini. Almeno fino al 2012, quando è entrata a far parte del Cda anche Nadja Swarovski, 48 anni, tre figli, bellezza scintillante come l’impero che incarna. Non potrebbe esservi migliore testimonial. Markus Langes-Swarovski è il portavoce della holding, ma è lei il volto dell’azienda, pur attenta a preservarne gli equilibri interni. “Con Markus e gli altri cugini”, dice Nadja, “prendiamo decisioni collettive. Operiamo tenendo separate le aree di competenza, uniti dal desiderio di vedere prosperare il brand”.
Il cuore pulsante della multinazionale continua a pulsare a Wattens. “Abbiamo laboratori e negozi in tutto il mondo, ma i nostri cristalli continuano ad essere prodotti in Tirolo. Il segreto del successo riposa proprio in questo mix di tradizione e innovazione”. È stata lei a riaccendere il dialogo, avviato dal nonno e poi spentosi, con le icone della moda, del design, del cinema e dell’architettura: da Peter Pilotto a Aldo Bakker, Alexander McQueen, Christopher Kane, Karl Lagerfeld, Zaha Hadid, John Pawson, Tom Dixon. “Eravamo concentrati sulla produzione di lampadari. Mi chiesi: perché non li mettiamo nelle mani di un genio come Zaha Hadid?” Detto, fatto. Con lo stesso spirito, ha portato nei laboratori McQueen. Quanto è difficile convivere con questo cognome ingombrante? “Quando il tuo cognome è impresso sulla porta d’entrata diventi ancora più consapevole delle scelte che fai. Ma ripeto, il mio percorso deriva da una scelta personale”. Si adopera perché il marchio sia sempre più eco e human-friendly.
“Nell’imprenditoria, il profitto non è la sola bussola del fare. Oggi più che mai conta sviluppare una sensibilità per i problemi della società, nel rispetto del pianeta e delle persone. Sono particolarmente orgogliosa del programma Waterschool grazie al quale mezzo milione di giovani è stato sensibilizzato al tema del consumo sostenibile dell’acqua. Nel 2013 abbiamo creato la Fondazione Swarovski, attenta a promuovere la cultura, la creatività e il benessere delle donne. Crediamo fermamente nel lusso consapevole. E lo dimostrano le collezioni dell’Atelier Swarovski e in particolare le pietre e i diamanti creati in laboratorio”.
Mai come oggi i prodotti di Wattens sono soggetti a imitazioni. La cosa non desta, però, particolari preoccupazioni. “Operiamo globalmente e, soprattutto in Asia, ci imbattiamo in manufatti che costano molto meno rispetto ai nostri, ma non sono certo competitivi in termini di qualità, anzi… Noi contiamo su 125 anni di storia e su un marchio solido e conosciuto, il nostro core business continua a risiedere nel cristallo. Non abbiamo paura”. Lo spiega ricordando che “l’azienda è sbocciata attorno all’invenzione del taglio dei cristalli introdotto dal mio bis-bisnonno, Daniel, e ancora oggi è lo spirito innovativo ad orientarci”.
L’Italia è un mercato particolarmente significativo per la multinazionale austriaca: “Abbiamo inoltre sperimentato una felice collaborazione con brand italiani della moda, accessori e gioielleria, penso a Gucci, Luxottica, Dolce&Gabbana e Valentino. L’Italia è una piattaforma straordinaria per lanciare iniziative globali, per questo è stato naturale svelare la nuova collezione Home Décor durante l’ultima Design Week di Milano. Abbiamo collaborato anche con l’icona della moda Anna Dello Russo, che ha messo all’asta parte del suo guardaroba donando i proventi alla nostra Fondazione”. La signora Nadja nutre una particolare ammirazione per i Missoni, “hanno messo in campo un’estetica globalmente riconosciuta applicandola a una gamma variegata di prodotti distribuiti in tutto il mondo, sono internazionali ma sempre veri e fedeli ai valori propri e della famiglia. Durante i miei anni newyorchesi lavorai con loro, e fu proprio in quella fase che sperimentai un grido di gioia: capii finalmente che volevo fare parte dell’azienda di famiglia”.
Fra gli imprenditori italiani di successo menziona Federico Marchetti: “Un visionario, ha intuito la necessità del mercato italiano del lusso d’abbracciare la tecnologia. Con Yoox Net-a-porter ha mostrato la potenza che si può sprigionare quando l’innovazione tecnologica è perfettamente allineata con la bellezza del prodotto. È vero, Yoox è un po’ un caso nel mondo imprenditoriale italiano che non conta tanti unicorn. La vostra forza continua a risiedere nella piccola-media impresa. Comunque anche le grandi aziende tradizionali stanno guadagnando in agilità grazie al digitale”.
Articolo apparso sul numero di settembre di Forbes Italia.
Di Piera Anna Franini