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Impact investing, la terra di mezzo. A colloquio con Luciano Balbo

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Luciano Balbo è il padre dell’impact investing italiano (investimento ad impatto sociale), pioniere del private equity e della filantropia attiva nel nostro Paese. All’alba del Duemila lanciò Fondazione Oltre dalla cui costola è poi nato Oltre Impact: fondo centrato su progetti imprenditoriali che creano valore per la società generando al contempo un ritorno finanziario per gli azionisti.

Nella costellazione di Oltre Impact svettano – in termini di partecipazione – Sfera Agricola, Erbert, Wonderful Italy, mentre il Centro Medico Santagostino brilla per i suoi 50 milioni di fatturato. Le aziende in portfolio sono venti,  l’orientamento è quello di “liquidare le piccole che non sono riuscite a crescere puntando sulle più grandi dunque capaci di attirare attenzione e investimenti”, spiega Balbo. Che sgombra il campo da malintesi: “Si tende a pensare che vi sia il puro profit e il puro no profit, invece c’è un’area intermedia. Mi spiego. Se costruisco abitazioni per redditi bassi non è che le regalo, semplicemente calmiero i prezzi. L’impact investing va a riempire proprio questo segmento di mezzo”, spiega Balbo, una laurea in fisica mai coltivata perché subito impegnato nel  management. Poi la folgorazione sulla via di Damasco che lo proiettò nel mondo del private equity.

Dopo i primi passi, anche in Italia l’impact investing ha assunto aspetti diversi rispetto alle posizioni di partenza.

“Dalla nascita fino a circa quattro anni fa, era una nicchia per piccoli operatori che privilegiavano il ritorno sociale e ambientale. Poi è entrato in campo il mondo finanziario, sempre bisognoso di prodotti, e ha cavalcato l’onda tutt’uno col crescendo della domanda di investimenti ESG (Environmental, Social and Governance, tre fattori per misurare la sostenibilità di un investimento). Il mondo finanziario si è impadronito del concetto privilegiando l’aspetto del ritorno finanziario rispetto all’impatto sociale. Del resto,  se vuoi crescere non puoi che ragionare in questi termini” osserva Balbo. 

Dopo un fondo chiuso a 43 milioni, Oltre Impact ne ha avviato un secondo che ha toccato i 55 milioni lo scorso ottobre ed ha come traguardo i 100 milioni. Per il 20% gli investitori sono privati (“family office che ci seguono dal 2006”), quindi istituzioni, si va dal Fondo Europeo  degli Investimenti a Cassa Depositi e Prestiti, più vari fondi Pensione. 

Mediamente sono trenta le aziende che mensilmente bussano alla porta di Oltre Impact che è anche proattivo, “quando individuiamo aziende interessanti, siamo noi a contattarle direttamente”. 

Dopo una vita spesa a scommettere su cavalli – si spera – vincenti, Balbo ritiene che sia più strategico investire sulla persona o sull’idea? “E’ un mix delle due forme, però confesso che quando abbiamo sbagliato è stato perché abbiamo privilegiato l’idea rispetto alla persona. Ho appreso una lezione: bisogna credere nell’idea ma guai a innamorarsene. Meglio un’idea non propriamente intrigante, ma  generata da un uomo di grande qualità perché in quanto tale riuscirà a portare in porto anche idee meno buone. Quando avvii una start up devi cambiare  tante cose in corso d’opera e solo una persona di qualità sa navigare i cambiamenti, viceversa chi ha avuto una bella idea ma non è brillante va a fondo quando il mare è in tempesta”.

E se volessimo sbozzare l’identikit dell’imprenditore di qualità?

“Penso a Bombassei,  non lo conosco personalmente ma ne ammiro la tenacia imprenditoriale. Mi piace l’imprenditore che guarda lontano e porta la propria azienda ad essere leader nel mondo, la fa crescere negli anni. Ora Brembo, per dire, è freni nel mondo”.

Finnova è stato il primo fondo italiano a fare venture capital, nel cda c’era Elserino Piol – il pioniere assoluto del settore – e al timone Luciano Balbo. Ci colpisce quando Balbo osserva che “l’Italia non è nella testa degli investitori top”. Perché? “Nel mondo del venture capital siamo il fanalino di coda d’Europa, più piccoli della Spagna e un decimo del mercato francese. I nostri fondi sono piccoli, fra i 100 e i 200 milioni, mentre in Francia si arriva al miliardo, e fondi piccoli generano una domanda meno ambiziosa. Siamo in ritardo di circa quattro anni, ma stiamo migliorando, ultimi ma non statici. Tutto sta nel riuscire a colmare la distanza che si è creata con Paesi partiti prima di noi. Perché nel venture capital la regola è raccogliere il più possibile nel minor tempo possibile. Se in Francia raccolgo 50ml e in Italia 5ml, l’azienda francese viaggerà più rapidamente e magari ci compra pure. Chi ha più benzina va più veloce e lontano”.

E sempre in tema di finanziamenti, che opinione s’è fatto, Balbo, dei piani e sviluppi  del Pnrr?

“Mi esprimo per il settore che conosco di più, la sanità. Spero che gli investimenti e la progettazione si concentrino più sul servizio che sull’attivo fisso. In questo momento non abbiamo bisogno di una macchina tac in più, ma che migliori il servizio. Si fa un gran parlare di case della salute, bene, è una soluzione logica. L’importante però è che si coltivi il rapporto con l’utente. La vera scommessa è rendere più efficace il servizio che diamo”.

Anna Franini
Anna Franini
Anna Franini, giornalista di Forbes e il Giornale. Scrive storie di Leadership, Imprenditoria, Innovazione. Intervista fondatori di aziende miliardarie, Premi Nobel, Breakthrough, Academy Awards, Pulitzer, Pritzker.
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