Pensate che la vostra azienda non abbia nulla a che fare con la biodiversità e dunque con il giro d’affari – per inciso: significativo – che genera? Errore. Perché se non proprio tutte, sono comunque tante le strade imprenditoriali che portano a questo settore. Basti pensare che da solo contribuisce a più della metà del PIL globale il quale potrebbe subire una contrazione fino a 2,7 trilioni di dollari entro il 2030 se la crisi della biodiversità non venisse contrastata, così la Banca Mondiale. Rovesciando la prospettiva, secondo l’Impact Assessment Study della Commissione Europea, gli investimenti in progetti di conservazione e ripristino della biodiversità potrebbero portare benefici economici fino a 70 miliardi di euro entro il 2050.
Si inserisce in questo contesto il National Biodiversity Future Center (NBFC), il primo centro di ricerca italiano sulla biodiversità. Lanciato nel maggio 2023 a Palermo, con diramazioni dalle Alpi a tacco e punta dello Stivale, è coordinato dal Cnrr, alimentato da 320 milioni del Pnrr, e animato da 2mila scienziati e 48 istituzioni. Obiettivo della struttura: monitorare, ripristinare, preservare e valorizzare gli ecosistemi terrestri, marini e urbani della Penisola e del Mediterraneo. Del resto, il nostro Paese vanta una concentrazione di diversità biologica con pochi raffronti in Europa, a conferma le 60mila specie animali, 10 mila piante vascolari e oltre 130 ecosistemi presenti sul territorio (dati Ispra); la protezione di questo patrimonio ora è anche sancita dall’articolo 9 della Costituzione, modificato nel febbraio 2022 proprio per includervi il riferimento al concetto di biodiversità, unitamente alla nuova formulazione dell’articolo 41 circa la tutela della salute e dell’ambiente.
Il NBFC è una grande comunità che abbraccia università, centri di ricerca, istituzioni e aziende, inventa il domani e mette a sistema il lavoro pregresso gettando ponti e innescando dialoghi fra soggetti pubblici e privati, scienziati e imprese, teorie e risoluzioni pratiche. Sono coinvolte aziende ed enti di grandi dimensioni, da Enel a Ferrovie dello Stato, ma proprio in questi mesi, per esempio, “sono in fase di pubblicazione bandi per coinvolgere anche piccole e medie imprese nei nostri programmi di ricerca e innovazione. Vorremmo portare le imprese ad affrontare obiettivi audaci per invertire la curva del declino delle varietà di specie. Sono operazioni sfidanti quanto sbarcare sulla luna, ma lo dico da economista: si sta abilitando un potenziale economico pazzesco”, assicura Alberto Di Minin, Direttore Innovazione di NBFC oltre che docente di Innovation management alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. E così scopriamo che abitare un Paese biodiverso come il nostro fa bene non solo perché ci espone a plurimi profumi e colori, dai rododendri delle vette al giallo dei limoni di Montale o delle ginestre partenopee cantate da Leopardi. Riempiamo occhi e polmoni di bellezza e di benessere, viviamo un paesaggio con pochi pari, ma allo stesso stesso tempo la biodiversità e quanto ne consegue sta generando opportunità lavorative e di crescita aziendale. Perché tanti lavori del futuro sbocciano in seno alla biodiversità, dal manager della biodiversità a quello della sostenibilità, dal progettista di sistemi di gestione ambientale al risk manager, fino all’esperto di nature based solution che gestisce, o ripristina, gli ecosistemi. La lista prosegue, si tratta comunque di figure professionali formate per osservare, comprendere, digitalizzare e creare soluzioni di intervento efficace ed efficiente in termini di costi. C’è poi il tema della valorizzazione tramite percorsi di comunicazione e sensibilizzazione, tutti ambiti collegati perché – per esempio – digitalizzare la biodiversità dei parchi vuol dire favorirne la comunicazione, elaborando una sorta di collezioni museali da fruire, comprendere e dunque rispettare con cognizione di causa, ma allo stesso tempo diventa piattaforma di studio comparato. Si tratta di “figure dalla preparazione verticale ma anche aperta ad altre competenze. Lo esemplifico con la T: in cima alla stanghetta della specializzazione c’è l’asta che abbraccia altre conoscenze”, ancora Di Minin che ricorda i master promossi dal NBFC, l’ultimo nato è partiito in febbraio alla Sapienza di Roma: forma il/la One-Health Analyst, con una preparazione interdisciplinare che dalla salute spazia alla fisica e psicologica, economia e politica. E ancora, il NBFC in collaborazione con la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa ha fondato la prima Scuola Stagionale incentrata sulla Biodiversità e il Business, un programma educativo per esplorare il connubio tra biodiversità e mondo degli affari.
Sorge un interrogativo. Nel 2025, allo scadere dei contributi PNRR, cosa accadrà? “In quel momento – ancora Di Minin – scocca la mezzanotte di Cenerentola al ballo, entro l’anno prossimo dovremo aver creato tutte le condizioni perché Cenerentola convoli a nozze col principe”. Forse l’allegoria non piacerà a Paola Cortellesi e ai fanatici della cultura della cancellazione che vorrebbero riscrivere persino le favole, ma una cosa è certa: in questi due anni si sta tessendo la tela di un sistema poi chiamato all’autonomia. Altra certezza. Per la prima volta nella storia delle varie rivoluzioni industriali, il focus è sulla sostenibilità ambientale, e a cascata economica e sociale.
Eredità principale dell’NBFC, ci spiegano, sarà il Biodiversity Science Gateway: una infrastruttura virtuale, che si appoggerà ad alcune sedi fisiche in Italia e alla nave oceanografica “Gaia Blu” del Cnr, con il compito di trasformare la ricerca scientifica in conoscenza diffusa e in realtà aziendali innovative: una struttura che sarà al tempo stesso uno strumento per l’educazione e l’innovazione e un luogo nel quale condividere risultati di ricerca con la società e il mercato. Tutti i dati scientifici raccolti dal NBFC saranno infatti condivisibili con la comunità scientifica.