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Questione di tempo (e di come lo usiamo)

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Il tempo a proprio uso e consumo, per sé, è l’oro del terzo millennio, un lusso tra i lussi. E’ un bene di difficile amministrazione, chiede infatti disciplina, strategie, oltre che la fortuna di nascere nel posto giusto: in Norvegia – per dire – cultura e sistema sono il vento in poppa di una buona gestione del tempo. C’è però una verità di fondo. Non sempre e non  tutti, a parità di condizioni, sappiamo far buon uso del tempo, anzi – per dirla con Seneca – non è che abbiamo poco tempo, il punto è che ne sprechiamo molto. Vanno poi fatti dei distinguo poiché entrano in campo le differenze di genere, di cultura, di anagrafe. Una cosa è certa: il tempo è una delle risorse più democratiche a nostra disposizione considerato che  il budget è uguale per tutti ed equivalente a 24 ore al giorno, vale a dire 8.760 l’anno.  

UN GIORNO TIPO

Prima questione. Per la giornata tipo, vale ancora la scansione di 8 ore di lavoro + 8 ore di sonno + 8 ore di svago? Non proprio e non ovunque. In Cina, per esempio, il fondatore di Alibaba, Jack Ma, ha messo il sigillo definitivo su una prassi  diffusa coniando la formula 996: si lavora dalle 9 del mattino alle 9 di sera per 6 giorni a settimana. Al di là degli estremi Made in China, oggi le variabili incidono più delle costanti. Lo smart working, per esempio, sta impattando non poco sulla gestione del tempo, la digitalizzazione delle nostre vite abbatte le sane barriere fra vita privata e professionale, tutto è più liquido e difficilmente misurabile. 

Stando al Better Life Index elaborato dall’OECD (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), nei Paesi Ocse un lavoratore a tempo pieno dedica il 63% della propria giornata, circa 15 ore, alla cura personale (mangiare, dormire, vestirsi..) e al tempo libero dunque a socializzare con amici e familiari, a fare sport, leggere, guardare la tv, occuparsi dei propri hobby e giochi. Ore che salgono a 16,5 in Italia. Il tempo rimanente è assorbito dalle attività legate alla professione. 

Questa è la statistica che nasce facendo una media tra gli stili di vita di occupati, più o meno occupati, disoccupati e ahimè i neet ovvero i giovani che né studiano né lavorano e di cui l’Italia detiene il triste primato europeo. Le indagini Istat su ”L’uso del Tempo” chiariscono cosa accade in quelle 16,5 ore che di fatto si riducono parecchio per effetto del lavoro non retribuito, ma sempre lavoro è, o meglio è la classica  cornice che si mangia il quadro. Entriamo nei dettagli. 

LAVORO NON RETRIBUITO

Gli Italiani dai 15 anni in su dedicano giornalmente 3 ore e 46’ al lavoro non retribuito dunque alla cura della propria casa (il 74,4% circa 2 ore e 48’) e delle persone che ci vivono (10.8%),  al volontariato organizzato (4,9%) e agli spostamenti legati allo svolgimento di tali attività (9,6%). Siamo il quinto paese per tempo destinato al lavoro non retribuito, dietro di noi vi sono Ungheria, Romania, Polonia e Serbia. Le donne italiane e le rumene detengono il record di ore dedicate a tali attività (5 ore e 09’) con una differenza sostanziale rispetto agli uomini italiani (2 ore e 16’). Le casalinghe vi dedicano 6 ore e 58’ al giorno e sono dunque i soggetti che contribuiscono maggiormente a questa forma di produzione. All’estremo opposto troviamo gli studenti, con soli 53’ al giorno. La medaglia per la raggiunta parità di genere nei tempi di lavoro, retribuito e non, spetta alla Norvegia, quindi a Germania, Austria e Paesi Bassi.

TEMPO LIBERO 

Il paese europeo con più tempo libero a disposizione è la Finlandia (5h50’) seguita dalla Norvegia (5h40’), Scandinavia isola felice insomma. Fanalino di coda la Romania con 4h23’. L’Italia si guadagna un quint’ultimo posto con  4h54’. La quantità di tempo libero a disposizione muta con l’età. I giovani sotto i 24 anni vi dedicano il 22,6% della giornata (5h25’), gli adulti tra i 25 e i 44 anni il 16,4%,  ma dopo il 45 anni la percentuale sale toccando il massimo quando si supera la soglia dei 65 anni dedicando ben il 26,5% della giornata. Le più svantaggiate sono le madri lavoratrici fra i 25 e i 44 anni che hanno solo 2h35’ al giorno di tempo libero contro le 3h41’ delle coetanee occupate single o in coppia senza figli e le 3h28’ a disposizione dei padri di pari età. 

Cosa si fa nel tempo libero?

Gli spazi per il tempo libero si concentrano dal pomeriggio in poi, crescono significativamente dalle ore 19 con apice dopo le 21. Ma cosa ama fare la gente quando finalmente si riprende il bene più prezioso, il  tempo? In tanti Paesi guardare la televisione è la principale attività di tempo libero, tale per l’80,3% degli Italiani e addirittura per il 90,4% degli over 65 che mediamente seguono la tv per quasi due ore al dì. I giovani sono i meno intrigati dal piccolo schermo, la quota  scende al 71,1 per cento.

In quasi tutti i Paesi OCSE la vita sociale rappresenta la seconda voce per quota di tempo libero, assorbe mediamente 53’ ovvero il 18,1% del tempo libero. La palma di chi preferisce starsene per conto suo va agli Estoni che alle relazioni sociali dirette antepongono l’uso delle nuove tecnologie (11,8 per cento), così come in Spagna e Lussemburgo si preferisce fare sport o altre attività all’aperto. Socializzare è una priorità per Italia, e tanto per sfatare luoghi comuni anche per la Norvegia. Sono i giovani tra 15 e 24 anni a  registrare la quota massima di tempo dedicato a tali attività (27,7 per cento), con livelli di partecipazione del 70,2 per cento. Mentre all’opposto sono le persone di 65 anni e più quelle che hanno più difficoltà nel mantenere vive le relazioni interpersonali, però dipende dal Paese, e questo nel bene e nel male. Negli Usa, per dire, negli anni Sessanta era solo 1 ottantenne su 10 a vivere in solitudine, ora sono  4 su 10.

La terza attività prediletta è il dolce far nulla, lo ammette il 42,9 per cento delle persone disposta a cedere all’ozio ben 40’ al giorno, minuti che salgono dopo i sessant’anni e si riducono per i giovani.

Seguono le attività sportive e le attività all’aperto come le passeggiate (10,9 per cento del tempo libero), che riguardano il 30% della popolazione per una durata media di 32’ al giorno. I più attratti dal movimento sono gli studenti (14,0 per cento). Purtroppo la lettura è coltivata solo da 1  italiano su 4, la quota doppia tra i laureati che vi destinano il 10,7 per cento del loro tempo libero. I lettori più accaniti – manco a dirlo – sono gli Scandinavi. 

Quali sono le attività meno amate?

Le faccende domestiche sono il cruccio di tanti, di sicuro le incombenze più fastidiose: cosa comprensibile. Una ricerca condotta nel 2019 da Jonathan Gershuny e Oriel Sullivan per il Centre for the Time Use Research registra l’alto tasso di chi ammette di non trarre soddisfazione dal proprio lavoro. Anche gli studenti non impazziscono dalla gioia quando fanno i compiti, ma qui non servono ricerche particolari: tutti siamo stati studenti, chi più a lungo, chi meno. 

SONNO

In Europa si dorme circa 8h30’. A dormire più di tutti sono i Rumeni con 8 ore e 52’, seguiti dagli Estoni con 8 ore e 50’, mentre a dormire di meno sono i Norvegesi con solo 8 ore 07’. In Italia il dato preoccupante è il 10,5% dei giovani di 15-17 anni che dorme meno di 7 ore, il 6,7% dei 18-25enni addirittura meno di 6 ore. A dormire troppo sono invece il 54,8% delle persone oltre i 65 anni (più di 9 ore).  Pochi vanno a coricarsi allo scoccare delle 22, i più chiudono la giornata alle 23. Sette italiani su dieci già dormono alle 23:40, solo 1 su 10 resta sveglio fino alle 1:00. 

ATTIVITA’ FISICA

L’Italia con mezz’ora al giorno dedicata a sport e a passeggiate è al quinto posto della graduatoria dei Paesi più attenti all’attività fisica, a pari merito con l’Austria, ma dopo Spagna (45’), Finlandia e Lussemburgo (35’). Se poi si considerano anche gli spostamenti giornalieri a piedi o in bicicletta, allora risulta che il tempo che gli Italiani dedicano all’attività fisica è di 53’.

Piccoli Lord

L’Istat registra un dato su cui riflettere: la scarsa partecipazione dei figli italiani alle attività di lavoro in famiglia. Il contributo va dai 53’ per quanti vivono con entrambi i genitori, a un’ora e 20’ per chi vive con un solo genitore.  Se fino agli undici anni l’intervento può dirsi uguale fra ragazze e ragazzi, poi stop alla parità: la forbice si allarga con le ragazze che aiutano in casa un quarto d’ora in più rispetto ai coetanei maschi. 

Altri distinguo. Tra 14 e 18 anni un figlio maschio su due di genitori soli svolge faccende domestiche mentre è solo uno su tre di chi vive con entrambi i genitori. 

Più la mamma è istruita e più si afferma l’equilibrio di genere: diminuiscono i tassi di partecipazione delle ragazze e crescono quelli dei ragazzi. E più la madre è impegnata nel lavoro retribuito più i figli, sia maschi sia femmine, vengono coinvolti nelle attività di lavoro domestico. Fanno eccezione le figlie femmine di madri casalinghe, che nonostante abbiano una madre sempre presente in casa dedicano più tempo a tali attività.

Conta poi come sono distribuiti i carichi di lavoro nella coppia più c’è equilibrio e più questo diventa un modello per i figli. 

Tra l’altro contribuire in casa fa crescere. Lo ricorda la psicologia comportamentale – vedi gli studi dell’americano Richard Rende – oltre che il buon senso. “Preoccupa vedere che l’impegno dei figli nei lavori in casa sia così ridotto. E’ stato dimostrato che i lavori domestici svolti nell’infanzia e adolescenza producono chiari benefici sullo sviluppo sociale, evolutivo e comportamentale dell’individuo. Occuparsi dei lavori in casa è un importante fattore di crescita e incide sul successo professionale di poi”. Aggiungiamo: semplifica la vita dei genitori. 

Altra cosa: guai a corrispondere la paghetta per questi lavoretti. Lo afferma Ron Lieber, giornalista del New York Times, firma della rubrica “Your Money”. A suo avviso svolgere le faccende domestiche dovrebbe essere un dovere famigliare, una cosa opportuna  da fare. Per chi volesse approfondire, è tutto ben argomentato, punto per punto, nel libro The Opposite Spoiled.

Addio ai sensi di colpa

Una ricerca condotta dalle sociologhe Judith Treas e Giulia Dotti Sani sfata una serie di luoghi comuni e fuga sensi di colpa di tante madri e padri moderni. L’indagine ha coinvolto i genitori di età compresa tra i 18 e i 65 anni, con almeno un figlio sotto i 13 anni, residenti in Italia, Canada, Regno Unito, Stati Uniti, Danimarca, Norvegia, Francia, Germania, Paesi Bassi, Spagna.

Sorpresa: nel 1965 le madri dedicavano alla cura dei figli un’ora in meno rispetto alle mamme moderne, 54’ minuti al giorno nel 1945 contro i 104’ odierni.  Addirittura il tempo che oggi i papà spendono con i figli è quasi quadruplicato passando dal quarto d’ora di mezzo secolo fa a un’ora. Più il livello di istruzione aumenta e più cresce il  tempo speso coi figli addirittura 123’ contro i 94’ delle mamme meno istruite. C’è un’eccezione in  tutto questo: il tempo della genitorialità è calato in Francia. I papà più presenti sono quelli inglesi, si difendono egregiamente anche gli Italiani con 80’ al dì. 

Nel secolo scorso, e soprattutto nei Paesi dell’Europa mediterranea, spesso le mamme non avevano un impiego e dunque trascorrevano gran parte della giornata in casa. Possibile che la mamma casalinga trascorra meno tempo coi figli rispetto a chi ha un impiego? La ricerca prende in considerazione non le ore vissute dal genitore tra le pareti domestiche ma quelle effettive dedicate ad attività con i figli, dal gioco alla cura. 

Alleggeriti i sensi di colpa   anzitutto delle mamme italiane – notoriamente chiocce – sorge però un interrogativo. Come si spiega la crescente fragilità (anche in tempi pre-pandemia) e tanto malessere emotivo dei più giovani? Le maggiori attenzioni familiari dovrebbero diminuire anziché esaltare le difficoltà dello stare al mondo così come dovrebbero affinare le buone maniere, ma non sempre è così. Anzi. La quesitone chiave non è la quantità di tempo, ma la qualità, cosa che vale anzitutto per chi ha pargoli tra i 3 e gli 11 anni. Addirittura vi sono casi – spiega una ricerca pubblicata sul Journal of Marriage and Family – in cui una maggiore presenza dei genitori fa solo danni. Meglio poco tempo ma libero da ansie e stress, fattori che sappiamo avere un effetto contagio. Le cose cambiano con l’adolescenza quando la presenza dei genitori riduce le devianze. 

Anna Franini
Anna Franini
Anna Franini, giornalista di Forbes e il Giornale. Scrive storie di Leadership, Imprenditoria, Innovazione. Intervista fondatori di aziende miliardarie, Premi Nobel, Breakthrough, Academy Awards, Pulitzer, Pritzker.
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