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Il genio italiano

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Alla scoperta del nostro patrimonio tecnico-scientifico. SI parte dal Museo della Scienza e della Tecnologia “Leonardo da Vinci” di Milano


Dietro ai grandi cambiamenti dell’ultimo secolo e mezzo c’è tanta Italia. E spesso è l’Italia delle aziende, quelle aperte all’innovazione e, dunque, pronte ad intercettare i bisogni del momento e a tradurre intuizioni e ricerche in prodotti. Il punto è che abbiamo un grande patrimonio artistico, e lo sappiamo, mentre sottostimiamo quello tecnico-scientifico. Per la verità qualcosa si sta muovendo, gli imprenditori che per natura sono più attenti al fare che a dire quel che fanno, hanno iniziato a recuperare, conservare e valorizzare le proprie conquiste tramite musei e archivi e circa un centinaio appartengono al sistema degli Archivi e Musei d’Impresa.

C’è poi chi promuove in autonomia progetti espositivi, caso quest’ultimo, oltre che recente, di Brembo che, per illustrare i 60 anni di storia del marchio, decenni in cui s’è imposta come leader mondiale dei sistemi frenanti, ha messo in campo una mostra-spettacolo al Mudec, creando un’esperienza multimediale immersiva. Protagoniste le pinze dai colori vivaci, così belle che se non fossero freni sarebbero opere d’arte si disse quando vinsero il premio di design Compasso d’oro. Sono l’esito dell’intuizione imprenditoriale di Alberto Bombassei, del resto per i prodotti che rivoluzionano il settore di appartenenza il copione è sempre lo stesso: il successo si deve alla combinazione di una visione imprenditoriale, di scintille che s’accendono e diventano fuochi per via di continue ricerche, di mani intelligenti, capaci di tradurre l’idea in materia.

Il racconto tecnico-scientifico-industriale trova la sua apoteosi nel Museo della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci, dal 1953 nella Milano capitale industriale del Paese. A crearlo fu un gruppo di industriali lombardi guidato da Guido Ucelli. Dal 1999 è fondazione di diritto privato, scelta che gli ha guadagnato agilità nelle decisioni ed azioni. Colleziona e forma, in tal senso è leader nazionale e tra i più accreditati d’Europa nell’educazione museale per le stem (scienza, tecnologia, ingegneria, matematica). Vanta la più grande esposizione permanente al mondo dedicata a Leonardo da Vinci ingegnere e umanista.

Leonardo è l’inventore per antonomasia, impareggiabile. Ma sono tanti i pezzi di italico ingegno che viaggiano nel mondo e spesso esportando il nostro saper vivere. Vediamone alcuni. Partiamo dalla moka di Alfonso Bialetti, l’iconica caffettiera nella collezione permanente del MoMa di NY e della Triennale di Milano. Dall’Alto Piemonte, Bialetti era emigrato in Francia come operaio fonditore in una fabbrica di alluminio. Di rientro sul Lago d’Orta, nel 1919 creava un’officina per produrre semilavorati in alluminio, metallo facilmente reperibile anche in anni d’autarchia fascista. L’intuizione della caffettiera aveva preso corpo osservando la moglie fare il bucato con la lisciveuse, un pentolone dove il vapore prodotto dall’acqua in ebollizione arrivava ai panni sistemati sopra un filtro. Che è il principio della moka, così chiamata in omaggio a Mokha, città produttrice di caffè nell’ormai inavvicinabile Yemen. L’omino coi baffi che animava parte del Carosello della nostra vecchia tv contribuì al lancio mediatico, diventando anche il logo dell’azienda che con il figlio Renato assumeva una dimensione industriale, confermata dai 300 milioni di esemplari venduti ad oggi. La moka è tale e quale dall’atto della nascita. Ci sono state però rivisitazioni firmate Alessi anche intese a ravvivare legami familiari: la mamma di Alberto Alessi, attuale presidente dell’omonima azienda, era la figlia di Alfonso Bialetti. Nel catalogo Alessi, oltre che nel museo di Omegna e in questi giorni al Museo del Novecento di Milano, troviamo La Cupola di Aldo Rossi, che pensò a un coperchio tondo ispirandosi alla cupola di San Gaudenzio a Novara progettata dall’Antonelli.


E arriviamo al sistema di illuminazione «Cestello» firmato Gae Aulenti e Piero Castiglioni, pensato dai due designer per una mostra a Palazzo Grassi, a Venezia. Accadde che tra i visitatori della mostra vi fossero gli imprenditori Guzzini, capitani dell’omonima azienda di Recanati specializzata nell’illuminazione architetturale. Intuite le potenzialità delle lampade, convinsero i designer a trasformare quel manufatto da artigianale in industriale. Nel 1988 nasceva il primo prodotto multisorgente con proiettori orientabili singolarmente a sistema cardanico. Assieme ad altri prodotti iconici li troviamo nell’archivio storico iGuzzini.

Chissà quante volte ci siamo imbattuti in quella cerniera dalle ali magiche senza conoscerne la paternità italiana e il francesissimo nome. Si chiama Loira e a inventarla e produrla è la ditta Fapim (Fabbrica accessori per infissi metallici). È una cerniera per porte, a due o tre ali, regolabile con facilità e antieffrazione già all’epoca del debutto, il 1989. Nel frattempo s’è evoluta, ma ancora oggi supera la concorrenza per semplicità di regolazione ed elevata classe antieffrazione. Questo e altri progetti e prototipi sono esposti al Fapim Museum di Altopascio, Lucca.

E che dire della Vespa, lo scooter più celebre ed iconico al mondo, figlio dell’Italia maestra nel fare di necessità virtù. Correva l’anno 1946, il Paese voleva rinascere, ripartire. E anche correre. Dati i magri stipendi, pochi potevano aspirare alle quattro ruote, si puntò così su una motocicletta speciale, usufruibile anche da chi indossasse gonne e gonnelle, dunque da sacerdoti e donne (all’epoca non c’era il gender fluido). Su commissione dell’imprenditore Enrico Piaggio, l’ingegnere Corradino d’Ascanio disegnava un veicolo comodo, agevole per salirvi in sella, ragion per cui pensò a una scocca portante con il motore spostato lateralmente. L’ingegnere detestava il genere della motocicletta, ma proprio per questo realizzò qualcosa di dirompente, tuttora in auge, oltre che nei musei: al MoMa di NY, alla Triennale di Milano, nel Museo Piaggio ricavato nella ex officina attrezzeria di Pontedera. Per la verità, D’Ascanio ha plurime paternità, è pure l’inventore dell’elica a passo variabile anch’essa nel Museo Piaggio. L’elica così concepita rivoluzionava il mondo della nautica e dell’aeronautica perché semplificava la manovrabilità dei mezzi permettendo di invertire il moto delle navi senza impiegare riduttori o motori reversibili, assicurava al contempo una maggiore efficienza dell’utilizzo del motore. Quasi tutti gli aerei prodotti in Italia montavano le eliche progettate da D’Ascanio, salvo subire una battuta d’arresto, problema condiviso con la stessa Piaggio, nel secondo dopoguerra. La Vespa fu una bella iniezione di vita, energia, e fatturato: per azienda e inventore.

L’archivio storico Bracco, da settembre sbarcato sulla piattaforma digitale, racconta quasi un secolo di storia della famiglia Bracco, dell’omonima azienda (da 1,3 miliardi di fatturato) e della diagnostica per immagini: la scienza del «vedere dentro» che ha rivoluzionato la medicina. L’archivio offre un viaggio nel tempo che ha nel 1981 un anno simbolico: il Gruppo Bracco lanciava lo Iopamidolo, il primo mezzo di contrasto non ionico. Frutto di una lunga ricerca interna, si distingueva subito per l’eccezionale tollerabilità e stabilità, consentendo all’azienda di assumere la leadership mondiale nella produzione di mezzi di contrasto non ionici utilizzati per X-Ray e CT. Ancora oggi una procedura a raggi X su tre nel mondo è fatta con i prodotti Bracco. La storia di questa straordinaria scoperta è pure narrata in Google Arts & Culture.

È italiano lo strumento che impresse una rivoluzione al montaggio cinematografico. Sceneggiatore, aiuto regista e montatore, Leo Catozzo aveva un problema: era allergico all’acetone, materiale fino ad allora usato per incollare la pellicola. Inventava così una giuntatrice-pressa che utilizzava il nastro adesivo per unire i due lembi di pellicola. Inaugurava la «pressa Catozzo» nel 1956 mentre lavorava con Federico Fellini al film «Le Notti di Cabiria». L’invenzione, rimasta attualissima fino all’avvento del digitale, valse a Catozzo un Oscar per il contributo all’industria cinematografica. È oggi nell’Archivio Nazionale Cinema d’Impresa di Ivrea.

Dalla «Perottina» al cono gelato
Le invenzioni «scippate» all’Italia

Non sono poche le invenzioni italiane che hanno trovato la rampa di lancio al di là dei confini nazionali oppure sono state raccolte e lanciate da altri. E poi chissà quante ricerche sono morte nei cassetti delle università sfuggendo alla triangolazione ricerca-industria-mercato. Non possiamo issare la bandiera tricolore sul pc perché il proto-personal computer è nostro, ma non si andò oltre. Stiamo parlando dell’Olivetti P101, un calcolatore da tavolo programmabile – classe 1965 – frutto dell’ingegno di Pier Giorgio Perotto, allora 32enne. Meglio conosciuta come la Perottina, la P101 aveva un linguaggio di programmazione alfanumerico, una memoria interna, un sistema di salvataggio dati su nastri magnetici (gli antenati del floppy disk) e una piccola stampante. Fu un successo, conquistò anche la Nasa che utilizzò alcuni esemplari nel programma Apollo 11 per lo sbarco sulla Luna. Il calcolatore elettronico apparteneva però alla DEO, la divisione elettronica Olivetti, ceduta alla General Electric statunitense. L’azienda di Ivrea fece un errore gestionale concentrandosi sulle macchine da calcolo e da scrivere anziché sull’elettronica così l’Italia perdeva il vantaggio tecnologico sul resto del mondo.

Ci sono poi storie sofferte finite bene. Il caso del telefono, per 150 anni ritenuto un’invenzione del britannico, naturalizzato americano, Alexander Graham Bell. Era il 1854 quando Antonio Meucci costruiva il prototipo del telefono, il telettrofono, un telegrafo parlante grazie al quale, stando dallo scantinato dove aveva il laboratorio, Meucci riusciva a comunicare con la moglie, a letto per una grave forma di reumatismo. Pubblicava i dettagli del marchingegno sull’Eco d’Italia di New York e non disponendo dei mezzi per pagarsi il brevetto, ripiegava su un pre-brevetto, anche questo poi non rinnovato per mancanza di fondi. Nel frattempo nel marzo 1876 Bell brevettava il suo telefono, Meucci gli fece causa però persa. Solo l’11 giugno 2002 il Congresso degli Stati Uniti ha riconosciuto in Meucci il padre «biologico» del telefono.
Non avere saputo trattenere in Italia Federico Faggin ha comportato plurime perdite, per noi, trattandosi di un inventore seriale. Faggin è il creatore del primo microprocessore e della tecnologia touchscreen. Dopo un’esperienza in Olivetti, a proposito delle menti che l’azienda non seppe valorizzare, approdava in una società di Agrate Brianza, la SGS, associata a un’azienda di Palo Alto, la Fairchild Semiconductor. Le due società decidevano di fare uno scambio per cui un ingegnere americano veniva inviato in Italia e Faggin andava in California. 
Tempo qualche settimana e la Silicon Valley già lo voleva tutto per sé. Il resto è storia conosciuta.

Anche il brevetto della macchina per realizzare il cono gelato è statunitense, benché l’idea sia tricolore. L’inventore è Italo Marchioni, cresciuto fra le Dolomiti come tanti pasticcieri e gelatai poi emigrati Oltreoceano. Tutto nacque da un problema di base. Accadeva spesso che servendo il gelato in coppe di vetro queste scivolassero dalle mani dei clienti, rompendosi, oppure sparissero. Marchioni trovò la soluzione.

Le idee ci sono
Le tutele un po’ meno

Una delle contraddizioni del nostro Paese è che brilliamo per capacità inventiva, ma non abbiamo la cultura della tutela e gestione del patrimonio intellettuale e industriale. Due sono le strade percorribili: brevetti e registrazioni. L’ufficio preposto è UIBM (Ufficio Italiano Brevetti e Marchi), un sistema «migliorato, ma non ancora allineato con il resto dell’Europa. I servizi devono essere semplificati e digitalizzati. Un esempio. Sapere chi ha richiesto, ottenuto e mantenuto in vita un brevetto è fondamentale per quanti investono ingenti capitali in soluzioni innovative. Ma la banca dati gestita dall’UIBM è lacunosa. Dovrebbe essere completa, affidabile e facile da usare, con un motore di ricerca che consenta ricerche incrociate su tutti i dati disponibili», ci riferiscono dalla Jacobacci & Partners di Torino, una delle principali realtà europee (60 milioni di fatturato) in tema di tutela della proprietà intellettuale.
INDICAZIONI PER L’USO
Sono brevettabili
1) L’invenzione industriale: una soluzione nuova ed innovativa in risposta ad un problema tecnico. Il caso esemplare della moka Bialetti.
2) I modelli di utilità: applicati a macchine, parti di esse, strumenti, utensili e oggetti già in uso. Il caso della tastiera di computer ergonomica.
Posso essere registrati:
1) Il marchio: il segno che contraddistingue prodotti o servizi di un’impresa, vedi il cavallino rampante della Ferrari.
2) Disegni o modelli: l’aspetto del prodotto o di una sua parte raffigurato con linee, contorni, colori, forme. Esempio, la caffettiera Alessi.
3) Topografia di prodotti a semiconduttori: una serie di disegni correlati rappresentanti lo schema tridimensionale degli strati di cui si compone un prodotto a semiconduttori. Esempio, il circuito integrato usato in microprocessori.

Anna Franini
Anna Franini
Anna Franini, giornalista di Forbes e il Giornale. Scrive storie di Leadership, Imprenditoria, Innovazione. Intervista fondatori di aziende miliardarie, Premi Nobel, Breakthrough, Academy Awards, Pulitzer, Pritzker.
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