Tra Veneto e Friuli si producono le bollicine della letizia, versione frizzante di in medio stat virtus, poiché moderatamente alcoliche e alla portata di tutte le tasche. Vengono ricavate nell’area compresa tra le Dolomiti e l’Adriatico, nelle province di Belluno, Gorizia, Padova, Pordenone, Treviso, Trieste, Udine, Venezia e Vicenza: la regione del Prosecco. È il Glera il vitigno base per la produzione di questo vino brioso, ma con un limite massimo del 15% possono essere usati anche Verdiso, Bianchetta Trevigiana, Perera, Glera lunga, Chardonnay, Pinot Bianco, Pinot Grigio e Pinot Nero vinificato in bianco.
Prosecco, il quartiere triestino che intitola un’area
Gli ettari si dipanano a perdita d’occhio, ma fanno capo a un luogo: Prosecco, quartiere triestino che, un po’ come Barolo nelle Langhe, intitola un’area. In questo fazzoletto di terra nell’estremo nord-est d’Italia, lungo pendii soleggiati al riparo dalla Bora, si fa vino dall’epoca romana. Tempi in cui gli aristocratici consumatori, imperatori compresi, solevano giustificare il peccato di gola esaltando le proprietà terapeutiche del vino Pucino, originario di quest’area, come testimoniano gli scritti di Plinio il Vecchio.
Con il 1800 è decollata la storia moderna del vitigno e di quanto vi ruota attorno, in testa la prima scuola enologica d’Italia, l’Istituto Cerletti, attiva dal 1876. Qui si sono formati nomi chiave della viticoltura italiana, tra cui brilla Tancredi Biondi Santi, uno dei padri fondatori del Brunello di Montalcino. Nel 1962 veniva costituito il Consorzio della tutela del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene, e qui debuttava la prima strada del vino del nostro Paese. Nel 1969 arrivava il riconoscimento della Doc per Conegliano e Valdobbiadene, quindi di Asolo e Montello, 20 anni fa veniva lanciato il primo distretto spumantistico d’Italia. Ma è il 17 luglio 2009 la data chiave: le anime del Prosecco da quel giorno hanno trovato una propria collocazione, identificandosi in Prosecco Doc, Asolo Prosecco Docg e Conegliano Valdobbiadene Docg. Qui il seguito dell’articolo