Daniil TRIFONOV

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Daniil Trifonov (1991) è il pianista che mette tutti d’accordo. Artisti così piovono direttamente dal cielo, uno per secolo.

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È uscito l’ultimo cd Decca con il Primo concerto di Rachmaninov e il celebre Rac 3, l’orchestra di Philadelphia è diretta da Yannick Nézet-Séguin. Ha suonato per la prima volta in Italia a 13 anni, scoperto da società di concerti di provincia, lontane dalla ribalta cittadina: difficoltà che aguzzano lo spirito d’iniziativa.

Trifonov, che abbiamo incontrato al Festival di Verbier, spalanca gli occhi nel dirci che all’epoca già viaggiava da solo, anzi, aggiunge un «of course!», non sono il nerd all’ombra di mamma – si legge nel volto. È genuino, integro, vive con e per l’arte, lo dimostra lo stesso cachet: non è allineato alla sua fama, inferiore a quello di Lang Lang, per dire, sebbene fra i due vi sia l’abisso. «Un giorno ricevetti la telefonata dell’insegnante di allora – racconta Sergej Babayan, suo maestro – mi disse che aveva un allievo di grande talento, voleva che lo seguissi io. Daniil mi telefonò. Perché vorresti studiare con me? gli domandai. Mi piacque la risposta: Perché mi fido della mia insegnante. Altri avrebbero decantato i miei meriti, lui non si perse in adulazioni. Fu franco».

All’epoca, Babayan insegnava a Cleveland, ora è docente alla Juilliard School, per intenderci la Harvard del settore. Armeno, casa a New York, studi nella Mosca sovietica, s’accalora quando dichiara l’avversione al comunismo, «soffrivo quando dovevo sprecare il mio tempo nello studio di quella filosofia malata, del resto chi vi rinunciava veniva ostacolato negli studi musicali. Sognavo di andarmene e alla prima occasione feci le valigie». Metteva in fila una serie di medaglie d’oro in concorsi, tutti fuori dal solito circuito sovietico, cosa che richiamò l’attenzione internazionale. Ottenne così una cattedra di pianoforte a Cleveland dove – poi – sarebbe approdato anche Trifonov. «Dissi al direttore dell’istituto di Cleveland che Daniil era un talento puro, ma non poteva permettersi 40mila dollari di retta annuale. Se non sponsorizziamo uno così, questa scuola non ha ragione d’esistere, dissi. Prima volle ascoltare alcune sue incisioni e inevitabilmente il finanziamento arrivò».

Sono trascorsi più di dieci anni ma Trifonov ricorda nei dettagli la prima lezione con Babayan. «Suonai la Terza Sonata di Chopin, lavorammo al primo movimento». «Mi colpì quella sua capacità di concentrarsi, di finire dentro la musica isolandosi da tutto», aggiunge Babayan. Del resto, quando Trifonov mette le mani sulla tastiera entra in una sorta di bolla, «quando suono cerco di dissolvermi nella musica. Anche prima di uscire in palcoscenico suono mentalmente l’intero programma, un po’ come fa l’attore quando sta per calarsi nel suo ruolo», spiega.

Trifonov ha dalla sua parte facilità di mani e di testa. È poi «un gran lavoratore». «In sei mesi – ricorda Babayan – imparò quanto altri apprendono in anni. Dopo qualche settimana, entrò in classe e senza preamboli disse: Voglio partecipare al concorso Cajkovskij. Una competizione così si prepara in anni, noi avevamo poco tempo e mancava tanto repertorio. Ma lui memorizzò il programma in un lampo: non credevo che un essere umano potesse arrivare a tanto. Aveva una velocità di assimilazione che non ho mai ho riscontrato in nessuno altro». Vinse il Cajkovskij, nella commissione c’era Valery Gergiev che iniziò subito a farlo conoscere nel mondo. Il resto è storia nota.

Leggi anche:  Trifonov

Leggi anche: L’ultime erede

 

 

Anna Franini
Anna Franini
Anna Franini, giornalista di Forbes e il Giornale. Scrive storie di Leadership, Imprenditoria, Innovazione. Intervista fondatori di aziende miliardarie, Premi Nobel, Breakthrough, Academy Awards, Pulitzer, Pritzker.
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