Dici Modena, e hai nell’orecchio il rombo dei motori e negli occhi la silhouette delle auto più belle e veloci del mondo, qui forgiate. Ma tanto altro si muove nell’area. Per esempio, c’è un polo produttivo dove il 44% degli addetti manifatturieri è attivo nel tessile-abbigliamento, con picco a Carpi (51%): cuore di un distretto che comprende Cavezzo, Concordia, Novi e San Possidonio, e che da solo contribuisce al 6% della produzione complessiva (di settore) del nostro Paese. Per intenderci, sono queste le terre di Blumarine, di Liu Jo che ha tra l’altro assorbito Blumarine, di Twin-Set e Gaudì, marchi conclamati in un mare di piccole e microimprese. Fra piccoli e grandi, terzisti e aziende di prodotti finiti, in questa capitale della maglieria mondiale si contano 596 realtà di maglieria e confezione, di cui 412 di subfornitura, cui si aggiungono 63 imprese di tessuti a maglia, etichette, stamperie-tintorie-serigrafie. Il tratto distintivo del distretto sta nel ricco sottobosco di conto terzismo, vera e propria ossatura produttiva che assicura la massima specializzazione e dunque qualità. L’ultimo rapporto dell’Osservatorio triennale del Distretto del tessile-abbigliamento di Carpi ci aiuta a comporre la carta d’identità del cluster. Il 70% delle imprese finali ha meno di 10 addetti e solo il 5% ne conta più di 50, proporzioni che si rovesciano alla voce fatturato poiché le prime contribuiscono al miliardo e 300 milioni di fatturato del distretto con un 7,6%, mentre le grandi aziende vi contribuiscono al 76,9%.
Arriviamo così’ al nodo cruciale della vicenda. Quello di numeri importanti ma in calo progressivo, troppe aziende non avendo le dimensioni sufficienti per raccogliere le sfide del nuovo millennio, si sono sbriciolate, travolte dalla fiumana del progresso che anzitutto reclama sostenibilità e digitalizzazione. Incapaci di imporsi sul mercato, l’hanno subito.
Antefatti
Per ricostruire gli antefatti di questo distretto si indietreggia fino al Cinquecento, quando Carpi già si distingueva per la produzione di cappelli e delle trecce di truciolo ad essi destinati. Nel 1637, per dire, l’attività del truciolo era regolamentata e tassata, a dimostrazione del rilievo economico assunto. Si venne a creare una comunità di pagliari, di trecciaiole e di partitane (che distribuivano i mazzetti di paglia), convergenti nelle botteghe dove partendo dalle trecce finite si componevano i cappelli, laboratori che sull’onda della prima rivoluzione industriale vennero meccanizzati, in tal senso la prima fabbrica ad ammodernarsi fu quella di Giuseppe Menotti, il padre di Ciro, l’artefice dei moti risorgimentali divampati a Modena nel 1831. I manufatti carpigiani conquistarono i mercati esteri, con predilezione per l’Inghilterra e la Francia, salpando per l’America degli anni Ruggenti. Poi, fra le due guerre mondiali, in Europa il cappello divenne accessorio sempre meno imprenscindibile, crisi acuita in Italia dal protezionismo fascista che stroncò l’imprenditoria vocata all’esportazione, e tale era la carpigiana. Ma gli imprenditori modenesi non si scoraggiarono e trovarono alternative riconvertendo abilità e manualità, tuffandosi nella realizzazione di maglie e camicie. Venivano così gettate le basi del Distretto della maglieria e confezione.
1951-1961 – Il miracolo
Il volume Made in Carpi di Werther Cigarini (edizioni Artestampa) racconta fatti, antefatti, punti di forza e criticità del distretto. La forza sta anzitutto nel decollo, a dir poco straordinario. Primo mattone nel 1951 con 1.350 addetti lievitati a 5.628 nel 1961 sull’onda di imprese nascenti a getto continuo, talune fortemente specializzate su un segmento della filiera, dunque contoterziste, altre invece impegnate a realizzare il prodotto finito attingendo a larghe mani al lavoro a domicilio al punto che se inizialmente il rapporto era di un dipendente interno vs tre lavoranti esterni, a un certo punto il rapporto fu di uno a dieci; per questo – osserva Cigarini – fin dalle origini Carpi ebbe l’anima del distretto, “funzionante nella sua forma basica con soli due protagonisti: il commerciante-imprenditore che disegna il modello e lo vende, e la lavorante a domicilio che lo produce“.
Al decollo seguì un lungo volo ad ali spiegate al punto che nel 1981 gli addetti erano 15mila e già da un decennio qualche pioniere aveva festeggiato il miliardo, il caso della signora Maria Nora, passato di mondina, quindi di ambulante che a un certo prese a vendere anche prodotti da lei confenzionati: idea vincente, dunque capitalizzata. Altro miracolo all’italiana fu quello messo a segno da Renato Crotti, che in sella alla sua Gilera iniziò a fare la spola tra l’Emilia e Biella per approvvigionarsi dei filati; anche in questo caso l’idea fu vincente e dunque messa a reddito. Tempo due decenni, il signor Crotti diventava uno degli uomini più ricchi d’Italia; lungimirante, con altri industriali nel 1960 contribuì a fondare l’Istituto tecnico-professionale Vallauri, fucina – ieri come oggi – di tanti operatori di settore.
Intrigante il volto della Carpi anni Sessanta, lo tratteggia a perfezione un articolo del 1963 apparso sul Corriere della Sera. Si legge: “Carpi è una città ricca. Ha in proporzione più automobili di Milano, l’indice di incremento edilizio è il più alto di tutta l’Emilia. Questo è il periodo dell’anno in cui Carpi è piena di buyers, di compratori, provenienti da ogni parte d’Europa. Nel maggior albergo di Carpi la lingua meno parlata è l’italiano; i telefoni sono continuamente occupati da comunicazioni internazionali”. Altro tratto distintivo: la componente femminile che nelle fabbriche superava quella maschile, primato che si saldò con il crescendo di stiliste, creatrici di moda e di imprese come Anna Molinari, che con il marito, il Conte Gianpaolo Tarabini Castellani, fondava Blumarine; quindi Simona Barbieri, colei che lanciò Twin-Set poi ceduto a The Carlyle Group. E Daniela Malpighi, fondatrice di Denny Rose.
A un certo punto, l’esuberanza e la visionarietà dei magliai della prima ora non bastò più. A scompigliar le carte furono la concorrenza del Levante e il cambio dei gusti e stili di vita della clientela. Alla selezione darwiniana sopravvissero quanti seppero cambiar pelle e strategie anzitutto sostituendo la produzione massificata con quella di manufatti più sofisticati, alzando l’asticella della qualità. Giù tante saracinesche, e fine di un’epoca. Nell’ultimo decennio del secolo scorso è stato perso il 30% delle imprese e il 45% degli occupati, decimate anzitutto le aziende del pronto moda; al giro di boa del nuovo millennio, naufragava (nel 1999) anche l’azienda della signora Maria Nora, l’ex mondina che con orgoglio aveva festeggiato il miliardo di lire. Stesso discorso per l’azienda di Crotti. In compenso ce l’hanno fatta le aziende pluricomparto, quelle che hanno puntato sulla qualità, con stilisti e comunicazione di classe; Blumarine, per esempio, si lanciò in campagne firmate da maestri della fotografia come Helmut Newton.
Oggi Carpi si è posizionata sulla fascia medio alta (58,3% del fatturato) e alta (12,5%). C’è ancora un trenta per cento circa (28,6) in fascia media, mentre è ormai estinto il low-cost (0,6 %).
AZIENDE CONTO TERZI
David-Tex è un’azienda di subfornitura di eccellenza. Nata nel 1981, è specializzata nella tessitura di maglieria esterna per conto terzi su macchine circolari, occupa otto dipendenti più tre famigliari: Graziano, Dino e Dario Daviddi, i fondatori.
Stambecco Srl
Classe 1964, è una delle storiche aziende di maglieria operanti per conto terzi. Da sempre investe in tecnologia, formazione del personale e ricerca di materiali. Al suo interno ha creato il marchio Laura Benatti, brand di maglieria sensibile alle ultime tendenze.
Marbella srl è una tra le aziende conto terzi più consolidate del distretto carpigiano. Dal 2000 Marbella realizza maglie a capo integrale con macchinari SHIMA. Assicura l’intero ciclo di produzione che prevede campionario, programmazione, produzione, controllo qualità e consegna diretta al cliente.
PICCOLI GIGANTI
Amarynth nasce dall’esperienza di oltre 50 anni nella produzione di maglieria, integra la tradizione della maglieria di Carpi con le tecniche più innovative. Ha promosso due linee di prodotti: Morbide, dalla taglia 46 in su, e una linea più giovane.
Murizia G, fondata da Maurizia Gavioli, opera con uno staff che segue la campionatura e la produzione in private label. Va dallo studio e l’ideazione del capo alla consegna al cliente. In azienda sono presenti tre generazioni della famiglia: nonna Carla, che aggiusta i modelli creati dalla figlia Maurizia e suo figlio che si occupa della parte commerciale.