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I collezionisti fanno bene all’arte

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Dimmi che opera d’arte hai e ti dirò chi sei. Avere un Fontana o un Botero in casa è privilegio per poche tasche, identifica con un battito di ciglia lo status economico di chi li possiede, ma anzitutto l’opera d’arte, il manufatto di design, l’orologio o il gioiello carichi di storia comunicano gusti, valori, modi di essere e di vivere suggellando l’appartenenza a un’élite culturale. Non per nulla, l’ambizione di tanti collezionisti è comparire tra i top collector delle riviste di riferimento, da ARTnews ad ArtReview o Art+Auction. Esperti di settore spiegano che in tal senso gli Italiani sono discreti e riservati, non amano gridare i propri beni, resta però il fatto che pochissimi – in ogni caso –  vantano collezioni faraoniche come quelle di Abramovich (pre-sanzioni, ora si vedrà), Bezos, Arnault o Asscher. Al netto di ogni considerazione, i top collezionisti tricolori sono due, Miuccia Prada con il consorte Patrizio Bertelli e Patrizia Sandretto Re Rebaudengo.

Collezionare Bellezza procura piacere estetico, benefici emotivi e intellettuali, è inoltre un investimento che genera aspettative finanziarie, cosa – quest’ultima – che vale soprattutto per le ultime generazioni.

Sgombriamo subito il campo da malintesi. A prescindere dalle motivazioni d’acquisto, che sia per piacere personale, per prestigio sociale, investimento o speculazione finanziaria, i collezionisti fanno bene al sistema dell’arte.  Senza di loro le gallerie non troverebbero la propria ragion d’essere,  a cascata le fiere e in primis gli artisti. Sono il motore del mercato e il mercato irrora il sistema dell’arte.

Non vi sono dati ufficiali su quanti siano i collezionisti italiani, ma incrociando i dati di gallerie, fiere ed aste si deduce che siano intorno ai 7mila, questo suggerisce Guido Guerzoni esperto di economia dell’arte,  docente alla Bocconi. Qual è il valore delle collezioni? Intesa Sanpaolo Private Banking ha condotto una ricerca per ricavare profili, tendenze, gusti, collocazione geografica dei collezionisti di italiani. Lo ha fatto in collaborazione con Artissima, fiera d’arte contemporanea di Torino, attingendo a un database di 4700 persone. Secondo quest’indagine, una bella fetta di collezioni ha un valore tra i cento mila e un  milione di euro. I collezionisti più facoltosi – spiega Guerzoni – investono in questi beni l’8% del patrimonio, con un 4% destinato a gioielli, preziosi, oggettistica, e il restante all’arte. Stando alla Barclays Ledbury Research, i paperoni cinesi stanziano per le collezioni il 17% del patrimonio, i Sauditi il 17%, i Brasiliani il 15%, gli Inglesi il 7%, gli Americani il 9%, e più la percentuale si alza e più dominano gioielli e metalli preziosi.

Il budget annualmente destinato dagli Italiani agli acquisti non supera i 50.000 euro nel 67% dei casi e per l’85% rimane comunque inferiore ai 100mila. La maggioranza dei collezionisti (88%) acquista in media ogni anno meno di dieci nuove opere.  Quanto alle professioni, i collezionisti di casa nostra si muovono tra finanza, mondo legale e imprenditoria, oltre il 50% vive tra Lombardia (30,7%) e Piemonte (21,2%), quindi Lazio (9,1%), Emilia-Romagna (4,2%) e Veneto (3,5%). Le tre aree urbane più dinamiche sono Milano (23%), Torino (16%) e Roma (9%), ma c’è poi una diffusione capillare nelle ricche provincie.

Milano lascia tutti alle spalle per via della lunga tradizione. Ne parliamo con Nicola Ricciardi, direttore artistico di Miart, fiera milanese (chiusa il 3 aprile) rivolta all’arte del Novecento e contemporanea. “La precedente edizione di Miart si è svolta nel settembre 2021 quando ancora era difficile viaggiare. A tacere della situazione complessa, la fiera ha avuto successo perché il flusso di collezionisti arrivava dai nostri territori. L’esperienza ha confermato una volta per tutte la ricchezza di questo tessuto, la presenza capillare di persone e intere famiglie attratte dal mondo del collezionismo”. Proprio per il suo piglio internazionale, Milano conosce un fenomeno diffuso all’estero e meno da noi: l’associazionismo dei collezionisti – il caso esemplare di Acacia – che si riuniscono per sostenere l’arte e gli artisti, condividendo passioni, gioie ma anche i dolori del collezionismo tricolore. Che sono anzitutto fisco e burocrazia.

Nuove tendenze

Dopo un secolo dominato dal collezionismo maschile, si registra, se non proprio un’inversione di tendenza, certo un  cambio di marcia. L’ultimo ventennio ha visto l’ingresso delle donne ora al 30% dell’intero segmento. Va però detto che oltre confine i numeri aumentano, addirittura nell’ultimo anno la spesa delle collezioniste è cresciuta del 13%. 

Da noi l’età media è di 55 anni, mentre oltralpe, per non parlare di oltreoceano e Oriente, l’età scende al punto che la classe anagrafica più impattante – pari al 52%  del totale dei compratori – è quella degli under 40 di contro alla generazione X che non supera il 32%. “All’estero – commenta Guerzoni – c’è un sistema economico che consente di diventare benestanti già in gioventù e soprattutto se si orbita nel mondo dell’alta tecnologia”, in sintesi si accumula un tesoretto tale da poter coltivare subito i piaceri che noi riserviamo all’adultità avanzata. Una cosa si verifica a qualsiasi latitudine: i giovani sono più attenti dei padri e dei nonni al risvolto economico della faccenda, non si accontentano del dividendo estetico. Secondo la ricerca UBS (Art Collectors Survey 2021), fra quanti hanno speso più di un milione di dollari in quest’attività, ovvero il 15%, in 6 casi su 10 erano millennial. 

Cosa si colleziona?

Le tipologie più ricorrenti dei collezionabili d’arte sono i dipinti (21%), fotografie (17%), sculture (16,3%) e i disegni o altre opere su carta (16%).  Il numero medio delle opere in collezione è 118, così distribuite: meno di 20 (29% dei casi), tra le 20 e le 49 (27%), tra le 50 e le 99 (16%) e oltre 100 (24%). 

L’epoca vincente è l’oggi, solo il 13% dei collezionisti raccoglie arte moderna. I Vecchi Maestri, poi, sono una rarità, del resto le opere di valore disponibili sul mercato sono ormai poche poiché finite nei musei o già acquistate. Sono poi cambiati i gusti, aggiunge Guerzoni, “le generazioni precedenti erano attratte dai Vecchi Maestri, ma oggi difficilmente un collezionista vuole mettersi in casa ritratti devozionali, martiri e nature morte con selvaggina e fagiani sgozzati,  tra l’altro poco consoni a dimore che privilegiano leggerezza e trasparenze”. Cresce l’attrazione per gli artisti emergenti, sono in crescita le gallerie di giovani che promuovono coetanei sotto i trent’anni, “artisti già con una loro storia. L’emergente – continua Ricciardi – è una scommessa, però tutt’uno col rischio c’è la consapevolezza che se ne sostiene il decollo. Non ultimo, i costi dell’investimento sono contenuti”. Secondo l’ultima rilevazione di ArtTactic (presentata nel Contemporary Art Market Confidence Report di luglio 2021), la fiducia nel mercato dell’arte contemporanea è ai massimi storici, e soprattutto per quanto riguarda gli artisti sotto i 45 anni. 

Dove si compra?

Per la fine art, si compra anzitutto nelle gallerie, quindi nelle fiere e solo in ultima istanza ci si rivolge alle aste. Che invece godono di grande fortuna all’estero, perché? “Nel nostro Paese – dice Guerzoni – scarseggiano le aste di contemporanea, che è il segmento più richiesto. Se vuoi comprare bene, puntando a una qualità elevata,  ti rivolgi a gallerie e fiere”. Il gallerista, poi, è persona fidata, con gli anni si costruisce un legame solido, per l’Italiano è il Virgilio della situazione anche perché in pochi possono permettersi un advisor a tempo pieno.

Dove si espone?

Dove finisce il paradiso di quadri, sculture fotografie, oggettistica preziosa? Nella maggioranza dei casi (82%) le collezioni private non sono accessibili al pubblico I più espongono in casa, quindi in azienda (14%), in altra sede (13%) o nei depositi (15%). Però è in crescita il fenomeno di mecenati e filantropi che aprono un proprio museo, sostengono progetti e premi. Si va dalla Fondazione Prada, a Furla, Trussardi, Pirelli, Carlon a Palazzo Maffei. Ma la lista di anno in anno si allunga. 

In Italia, l’industria dell’arte genera un volume d’affari pari a 1,46 miliardi di euro, con un impatto complessivo economico sul Paese di 3,78 miliardi di indotto. Una filiera produttiva fatta di gallerie d’arte, antiquari, fiere, case d’asta, allargandosi a quanti si occupano della logistica, quindi assicurazioni, restauratori, artigiani. Un mondo che conta 36 mila addetti.

I nemici dei collezionisti: fisco e burocrazia.

Questi i dati emersi dalla una ricerca di Nomisma, “Arte: il valore dell’industry  in Italia”, del dicembre 2021. L’industria dell’arte chiede però più fluidità dei processi, sburocratizzazione, in sintesi: il salto che colmi la distanza che ci separa dagli altri Paesi. Sono almeno sei i nemici giurati dei collezionisti e più in generale del sistema dell’arte italiano. Il sistema fiscale e, più in generale, la libera circolazione delle opere d’arte fra Italia, UE ed extra UE, così la pensano 8 operatori d’arte su 10. Un altro freno è costituito dall’incertezza del quadro normativo sulla tutela e l’eccessiva burocrazia (79%), l’assenza di una strategia di lungo periodo pianificata a livello nazionale (73%) e l’imposizione fiscale per il sistema arte (68%). 

La richiesta corale è quella di semplificare la  normativa sull’export, ridurre l’Iva sulla compravendita e semplificare la  normativa sull’acquisto di opere vincolate. Operazioni che darebbero ossigeno al mercato, agli artisti e all’arte italiana.

Sui collezionisti – poi – pende la spada di Damocle del meccanismo della notifica, residuo di una  legge (Bottai) del 1939 pensata per quel particolare contesto storico, all’epoca si voleva evitare l’espatrio di opere italiane verso la Germania di Goering. In sintesi se oggi una soprintendenza decide che un’opera è di interesse artistico e storico – cosa che può fare se il manufatto ha più di 70 anni – la vincola. E così, per aggirare il problema, chi può sposta le opere all’estero prima del compimento dei 70 anni. 

Anna Franini
Anna Franini
Anna Franini, giornalista di Forbes e il Giornale. Scrive storie di Leadership, Imprenditoria, Innovazione. Intervista fondatori di aziende miliardarie, Premi Nobel, Breakthrough, Academy Awards, Pulitzer, Pritzker.
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