Non solo Reggia

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Dici Caserta e pensi alla Reggia

Caserta, e hai negli occhi la sua Reggia: opulenta all’ennesima potenza, cioé troppo, riflesso delle ambizioni di una dinastia, i Borbone,  e in particolare di Carlo III re di Spagna che nel 1752 affidava il progetto di costruzione di nuova città della corte e dei ministeri al Renzo Piano di allora, Luigi Vanvitelli, emulando Versailles e l’Escorial. Per completare il progetto ci volle però un secolo, venne infatti consegnato nel 1845 quando il Regno di Napoli e il Regno di Sicilia erano già stati unificati nel Regno delle Due Sicilie e a un soffio dal fatidico 1848 quando i moti incendiarono tutte le piazze d’Europa rivendicando carte costituzionali, la liberazione dallo straniero ma anche da una serie di corone. E così, nel 1861, l’anno zero d’Italia, via i Borboni e avanti i Savoia, con patto solenne siglato a Teano: per la pena del contrappasso siglato a 40 chilometri dalla Reggia. A Teano il re Vittorio Emanuele II  riceveva da Giuseppe Garibaldi i territori del Mezzogiorno appena affrancati dai Borbone. Che non sempre e non tutti si atteggiarono come gli Spagnoli dominanti e usurpanti nella Milano dei Promessi Sposi impegnati ad alleggerire “ai contadini il lavoro della vendemmia”. In sintesi: ladri. Intorno alla Reggia si mossero anche teste coronate illuminate, il caso di Ferdinando IV. 

Tessile 

Senza contare che la Reggia continua ad essere il principale attrattore del territorio, con ricadute sul pil locale per via del flusso turistico, nel 2023 pari a un milione di visitatori, risultato lusinghiero però lungi dai 15milioni totalizzati da Versailles, che è di bellezza superiore e vicina alla capitale (bel vantaggio).

Il sito borbonico che nel casertano ha creato i presupposti di un distretto imprenditoriale è il Belvedere di San Leucio, complesso nato dal sogno di Re Ferdinando IV, despota illuminato, di dar vita ad una comunità di operai fondata sull’uguaglianza e la meritocrazia, e in primis sull’arte della seta. La colonia industriale dei setaioli, retta da uno statuto speciale e dipendente direttamente dal re, produceva anche calze, tappeti e cotonerie; ancora oggi, il borgo rientra nel distretto tessile di Sant’Agata dei Goti-Casapulla comprendente 20 comuni, 6 della provincia di Benevento e 14 della di Caserta. Distretto specializzato nel confezionamento di abbigliamento per conto di imprese terze, attraverso il sistema del façon (produzione legata a importanti marchi della moda italiana), ma c’è anche chi produce con marchio proprio.  Le imprese del distretto concentrano la propria attività non solo nel settore tessile-abbigliamento, in prevalenza capispalla e pantaloni, seguiti da maglieria, camiceria e confezioni in pelle a completamento della filiera tessile di specializzazione, e nell’offerta dei relativi servizi produttivi (taglio, cucito, confezioni, stiro, ecc.) ma anche nel comparto del confezionamento di abbigliamento per conto di imprese terze o attraverso il sistema del façon, infine, pur in misura più contenuta, nella fabbricazione di macchine tessili. All’interno del Belvedere di San Leucio è stata creata l’Officina Vanvitelli, uno spazio di sperimentazione e di innovazione, un ecosistema creativo e di ricerca per il Made in Italy, luogo di incontro di menti, di culture e diverse competenze per la moda e il design in Campania. 

Calzature

Caserta anima anche il distretto della calzatura, ed è una sua cittadina, Aversa,  ad esserne il cuore. Il distretto conta 8 comuni napoletani e 16 casertani: Aversa, Cesa, Frignano, Lusciano, Orta di Atella, Parete, San Marcellino, San Tammaro, Sant’Arpino, Succivo,Teverola,Trentola, Ducenta,Villa di Briano, dal 2007 anche Carinaro e Gricignano. La Campania copre il 50% della produzione calzaturiera del Mezzogiorno e il 15% di quella nazionale e costituisce una delle nove regioni europee con il maggior numero di dipendenti nella realizzazione di scarpe e prodotti in pelle. La regione, con 390 calzaturifici e produttori di calzature a mano e su misura, è la quarta su territorio italiano per numero di aziende e quinta per numero di addetti (dati 2018 InfoCamere-Movimprese, elaborazioni Centro Studi Confindustria Moda).

La tradizione calzaturiera campana prendeva corpo nella prima metà del ’900, con impennata tra gli anni Sessanta e Ottanta , epoca in cui l’artigianato puro si convertiva in artigianato industriale  o vera e propria industria. 

Risalgono all’immediato secondo dopoguerra botteghe, poi aziende, come la Stabile Calzature, oggi alla terza generazione, specializzata in calzature personalizzate e su misura o il Calzaturificio Gravino, fondato nel 1950, e specializzato nella produzione di scarpe classiche da uomo. Anche qui, tre generazione di esperti artigiani prima ed imprenditori poi. E ancora, poi come Calzaturificio Co. Raf, Della Puca Maria, Nicola Temporale.

Con i due distretti per il settore conciario (Solofra e Grumo Nevano-Aversa) e i tre per il tessile abbigliamento (Sant’Agata dei Goti- Casapulla, San Giuseppe Vesuviano e San Marco dei Cavoti), la Campania entra nella rosa delle regioni con il più alto tasso di impiego nel sistema moda. 

Qualche numero

Più della metà (4.895) delle imprese attive in Campania operano nella confezione di articoli di abbigliamento, seguono le imprese di fabbricazione di articoli in pelle e simili (2.057 imprese, pari al 23%) e, in misura minore, altre imprese manifatturiere come gioielleria e occhialeria. Le aziende del Tac (tessile-abbigliamento-calzature) corrispondono al 9% delle imprese di settore collocate sul territorio nazionale. E se Napoli ospita il 67% delle aziende campane di settore, segue il Casertano con una quota del 14%, infine Salerno (11%), Avellino (5%) e Benevento (3%). 

La bufala che piace

Le leggendarie mozzarelle di bufala campana sono prodotte anzitutto tra le province di Caserta e di Salerno. Proprio qui, tra la Piana del Volturno e del Sele, sull’onda delle invasioni saracene venivano introdotti i bufali. I primi documenti che testimoniano la produzione di mozzarella di bufala campana risalgono al XII secolo, ma compare per la prima volta in uno scritto il termine “mozzarella” nel 1570. Secondo alcune testimonianze, i Monaci del monastero di San Lorenzo in Capua erano soliti offrire un  formaggio denominato mozza o provatura, con un tozzo di pane, ai pellegrini in processione alla chiesa del Convento. È nel XIV secolo che la commercializzazione del formaggio di bufala prende davvero piede sui mercati di Napoli e Salerno. Era poi la volta delle prime bufalare e della separazione del processo di produzione da quello di trasformazione latte di bufala fresco. Processo accelerato dai Borbone, che nella Reggia di Carditello realizzavano un importante allevamento di bufale e un annesso caseificio sperimentale per la trasformazione del latte di bufala fresco. 

La Mozzarella di Bufala oggi.

La Mozzarella di Bufala Campana  è il terzo tra i formaggi DOP. E quasi tre Mozzarelle di Bufala Campana DOP su dieci finiscono all’estero, in primis in Francia, Germania, Spagna e Gran Bretagna, che da soli rappresentano più del 60% dell’export. 750 è il numero, in milioni di euro, del fatturato al consumo della Mozzarella di Bufala DOP nel 2022, filiera che occupa 11mila addetti, a partire dai 1300 allevamenti impegnati nell’esclusivo ciclo produttivo di questa tipologia di mozzarella. 

AZIENDE 

Il Calzaturificio Gravino nasce nel 1950 come piccola bottega d’artigiano della provincia di Caserta con la produzione di scarpe classiche da uomo, un’attività che si è tramandata da padre in figlio fino ad oggi.

Tre generazioni, di esperti artigiani prima ed imprenditori poi, hanno portato avanti la tradizione di famiglia. 

Una ricerca costante di materiali di qualità, lo studio di modelli confortevoli con stile, caratterizza ed ha sempre caratterizzato le calzature Gravino.

Tecnici esperti seguono con minuziosa attenzione ogni processo di lavorazione, eseguono un accurato controllo finale prima di inscatolare ed immettere sul mercato nazionale ed internazionale.

Il risultato, scarpe curate in ogni dettaglio fatte per durare nel tempo.

ARBITER

Il calzaturificio Arbiter nasce nel 1954 su spinta di Alfonso Marciano, di generazione in generazione l’azienda è esplosa internazionalmente con picco in Sudafrica dove Arbiter è leader di mercato.   Marciano per la verità proveniva dalle terre di PierPaolo Pasolini, il Friuli., dalle quali trasse l’arte poi affinata nella campana Santa Maria a Vico. Cimentatosi nella realizzazione a mano di alcuni modelli da uomo nel piccolo laboratorio-bottega, va a Napoli, l’interesse si allarga al Lazio e Puglia fino alla conquista della città più brillante e dinamica di casa nostra, Milano: il trampolino per i mercati internazionali di un prodotto che è la quintessenza del lusso. 

IL CASOLARE

Alla terza generazione, Il Casolare è sinonimi di mozzarella di bufala dell’Alto Casertano. Era Benito La Vecchia ad avviare l’attività acquisendo le quote del  caseificio S. Stefano di Vitulazio dove era dipendente trasferendola nel 1984 ad Alvignano. Fu tra i primi della zona, questa l’intuizione, a produrre la mozzarella di bufala mentre i colleghi operavano quasi esclusivamente con latte vaccino. I prodotti del Casolare derivano da latte di bufala di area DOP e da latte vaccino, entrambi prodotti entro 15 chilometri  dal caseificio. Tra i prodotti, la mozzarella di bufala campana DOP e DOP affumicata, ricotta di bufala campana DOP, fabula (che è l’anagramma di bufala). Con il latte vaccino, for di latte, omaggio vaccino zafferano e pepe, scamorza primo sale.

Anna Franini
Anna Franini
Anna Franini, giornalista di Forbes e il Giornale. Scrive storie di Leadership, Imprenditoria, Innovazione. Intervista fondatori di aziende miliardarie, Premi Nobel, Breakthrough, Academy Awards, Pulitzer, Pritzker.
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