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Angelo RADICI e la resilienza bergamasca

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Dici Bergamo, e hai negli occhi la fila dei camion militari che portano  le salme fuori regione per la cremazione. Qui il Covid si è abbattuto come in nessun’altra area d’Italia, non c’è famiglia senza lutti, ma si è reagito con  un silenzio carico di dignità, così si usa in questa terra poco incline a lacrime e lamenti. S’è combattuto senza far rumore perché c’è una cosa che ti ripetono dalla fanciullezza: “mola mia” ovvero “non arrenderti”. Questo imperativo categorico e un’etica del lavoro calvinista hanno contribuito a fare di una provincia disseminata di cime e valli uno dei centri manifatturieri d’eccellenza in Europa. Aggiungiamo: d’una manifattura innovativa e verde. Nella miriade di aziende spicca RadiciGroup, colosso della chimica, tecnopolimeri e fibre sintetiche. Ha un fatturato di 1.2 miliardi di euro, 3100 dipendenti, è presente in 16 Paesi con 24  sedi produttive e 8  uffici commerciali. Abbiamo incontrato Angelo Radici, Presidente di RadiciGroup, tra l’altro coinvolto nel progetto di Confindustria Bergamo per la realizzazione di mascherine chirurgiche. E non solo…

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“Mola mia” è finita anche sulle mascherine: slogan della battaglia contro il covid.  Quante volte si è sentito dire questo dai suoi genitori, e averlo interiorizzato quanto L’ha aiutata nella vita?

“Mola mia” è più di un semplice slogan, perché rappresenta il nostro spirito e tenacia, la determinazione e la passione, ma anche l’attitudine al lavoro e al sacrificio. Sono valori fondamentali che da sempre contraddistinguono la nostra famiglia e ancora prima la nostra terra. Valori appresi da subito, io li  ho imparati fin da piccolo. Da sportivo, con anni di esperienza agonistica alle spalle, ho poi imparato che senza la determinazione, l’allenamento e la costanza non si ottengono risultati. Quindi sempre, anche nei momenti di massima fatica, ci diciamo “Mola mia”. Senza questo spirito non saremmo arrivati dove siamo oggi. 

Il fratello Fausto fu campione di Coppa del Mondo di sci. Abbiamo però scoperto che anche Lei è un formidabile  sciatore. Come è riuscito a mantenere prestazioni sciistiche da gara dirigendo una multinazionale?

Qui in Val Seriana, la montagna è parte di noi, una presenza costante nelle nostre vite. Ho iniziato a sciare da piccolissimo. È una grande passione che ho condiviso con papà a fratelli. Per molti anni ho praticato sci a livello agonistico. Anche quando avevo già iniziato a lavorare in azienda, durante la pausa pranzo “scappavo” con mio padre per fare qualche discesa. Poi di nuovo in ufficio. Lo sci rappresenta un modo per vivere la montagna appieno, stabilendo un contatto diretto con la natura e i nostri bellissimi paesaggi. In generale, penso che praticare uno sport, ad ogni livello, oltre che dare benefici al fisico, aiuti a capire che certi risultati si possono ottenere solamente attraverso la passione, la determinazione e il sacrificio. Nello sport, come nel lavoro, bisogna avere dedizione e fare squadra per raggiungere i propri obiettivi. Per questo sosteniamo lo Sci club Radici, perché faccia scuola sul territorio, coinvolga i bambini e gli adolescenti in passioni sane.

Suo padre, Gianni Radici, andò al timone dell’azienda di famiglia nel secondo dopoguerra trasformandola in un Gruppo. Ci racconta l’evoluzione?

L’inizio dell’attività imprenditoriale di mio padre risale alla metà degli anni ’40, quando prese le redini della Tessiture Pietro Radici, un’azienda fondata da suo padre, Pietro, nel 1941 e attiva nella produzione di coperte e copriletti. Con mio padre, l’azienda ha vissuto un processo di diversificazione orizzontale passando dalla produzione di coperte a quella di tappeti, tessuti, moquette, tappetini per automobili. Fino alla chimica, per integrarsi verticalmente nella filiera del nylon. Se devo sintetizzare in poche parole, direi che la diversificazione è stata la grande intuizione di mio padre, quella che ci ha permesso di trasformare una piccola realtà di provincia in un grande gruppo industriale con ramificazioni in tutto il mondo. 

Cosa la impressionava di papà?

Era dotato di un istinto imprenditoriale unico. Mi ha sempre colpito l’attitudine a fare scelte molto coraggiose e la lealtà nelle azioni. Noi figli abbiamo fatto il nostro ingresso in azienda affiancati dal suo esempio concreto. Oggi cerchiamo di dare continuità ai suoi insegnamenti sia nel mondo del lavoro sia verso territorio e le comunità locali in cui noi stessi viviamo o comunque dove operano le nostre fabbriche.

Siete presenti nel mondo ma il cuore pulsa a Gandino: un centro di 5mila anime in cima a una valle, a 26 chilometri dalla città e autostrada. Cosa vi spinge a rimanere lì?

Il legame con il territorio è parte di noi, fa parte della nostra storia e del nostro DNA di imprenditori. Siamo nati e cresciuti qui come persone e come azienda, ci sentiamo parte della comunità. Questa terra ci ha dato tanto, sia in termini di collaboratori che di risorse. E rimanendo qui, vogliamo restituire valore al territorio dove siamo diventati il Gruppo che siamo ora.

Se dovesse fare una descrizione fulminea della Sua terra, con pregi e difetti?

Sarò un po’ di parte ma credo che Bergamo sia un territorio unico, fatto di competenze, attaccamento al lavoro e flessibilità. Forse a volte siamo un po’ “chiusi”, dovremmo migliorare nelle relazioni, raccontarci, imparare a far conoscere anche ai consumatori i valori delle nostre realtà industriali. I n questo momento di difficoltà, abbiamo capito fino in fondo l’importanza di fare squadra ed essere coesi. Mi piacerebbe continuare a lavorare in questa modalità anche a livello di business in futuro

In sette giorni, gli Alpini bergamaschi hanno costruito un ospedale che non è da campo, ma molto di più: un miracolo.
Rappresenta un successo sotto tutti i punti di vista. Ed è una dimostrazione concreta di cosa ha fatto Bergamo per Bergamo: numerosi lavoratori e imprenditori locali hanno messo in campo generosità, altruismo e competenze specifiche per dare respiro alla città. Per quanto ci riguarda siamo particolarmente orgogliosi di aver contribuito, insieme all’Atalanta, a una donazione per l’acquisto di tutti gli impianti necessari alla somministrazione di ossigeno per 200 posti letto destinati ai pazienti ricoverati a causa del Covid-19.

Perché Radici vuol anche dire Atalanta…

La partnership con l’Atalanta, di cui siamo main sponsor, ci rende particolarmente orgogliosi perché rappresenta un binomio perfetto che mette insieme due eccellenze del territorio che hanno saputo affermarsi anche a livello internazionale, nel calcio come nell’industria. Molti valori ci accomunano, tra cui la volontà di non arrendersi mai, anche di fronte a sfide impossibili. L’Atalanta, al di là di ogni prognostico, stava avendo un risultato sorprendente in Champions League (ndr il 19 febbraio, Atalanta batteva il Valencia 4-1) trovando modalità e soluzioni inaspettate. Come RadiciGroup speriamo di riuscire ad essere altrettanto capaci a trovare le giuste soluzioni per combattere questa nuova battaglia.

Cosa prevede per l’imprenditoria bergamasca?

Siamo ripartiti ma si prevedono mesi difficili, per tutto il paese del resto. Noi imprenditori faremo tutto il possibile per affrontare al meglio la situazione, ma il sostegno di tutti gli stakeholder – associazioni industriali, business Community, istituzioni italiane ed europee, comunità locali – sarà fondamentale. Il tempo per tornare alla normalità, probabilmente a una “nuova” normalità, sarà lungo.

I Bergamaschi non amano esternare le emozioni. Però che cosa avverte anche solo incrociando lo sguardo dei suoi dipendenti?

Quello che percepisco è una grande forza e desiderio di superare questo momento difficile. L’emergenza sta mettendo tutti a dura prova, però vedo la voglia e la determinazione delle persone nel non arrendersi, la capacità di reagire, e una grande solidarietà. Percepisco anche il desiderio di mettersi in gioco in ruoli nuovi su progetti diversi con la volontà in prima persona di contribuire alla lotta contro il Coronavirus.

Nonostante l’ecatombe, a Bergamo non s’è registrato un solo gesto plateale, semmai grande dignità e silenzio.  In un Paese dove s’impone chi urla di più, tanta discrezione non potrebbe far correre il rischio di essere poi dimenticati?

Qui siamo abituati ad agire, a sviluppare imprese più che a raccontare al mondo le nostre qualità. Siamo industriali più che comunicatori, in un modo dove la comunicazione è diventata sempre più importante. Bergamo e la sua provincia sono state colpite da questo virus in maniera molto aggressiva. Tutti noi siamo stati toccati dalla morte, dalla paura e dall’incertezza. Ma c’è una cosa che questo virus non annienterà mai in noi bergamaschi: la voglia di reagire. Sono orgoglioso di essere bergamasco, un popolo a cui non interessano le chiacchiere ma i fatti. Grazie ai fatti, oggi il nostro territorio ha tante filiere e rappresenta un centro strategico nel tessuto economico nazionale. Faremo il possibile per confermare il nostro ruolo con determinazione anche dopo la crisi.

RadiciGroup opera in tre Continenti. Se dovesse fare un confronto fra gli scenari post-Covid in Cina e in Italia?

I nostri numeri ci confermano che la ripresa in Cina è in corso e le prospettive sono buone. Per quanto riguarda il mercato automotive, per esempio, le ripercussioni nel breve termine dovute al calo delle esportazioni dalla Cina verso Europa e USA non dovrebbero avere un impatto significativo per noi. Per i mercati in cui operiamo, la Cina non è più la “fabbrica del mondo”, ma assorbe i nostri prodotti prevalentemente per il mercato interno. D’altro canto l’obiettivo che abbiamo perseguito nel costruire la nostra presenza nel mondo è sempre stato quello di produrre in un paese per servire il mercato regionale.

Viceversa l’Italia è parte fondamentale della supply chain europea. L’Europa è ferma, quasi totalmente concentrata nel contenere e debellare il virus. Noi non abbiamo dovuto fermare i nostri stabilimenti, ma chiaramente nelle prossime settimane, nei prossimi mesi si giocherà una partita fondamentale che avrà come obiettivo restituire la fiducia nel futuro, e creare le condizioni per la ripresa in Europa, e aggiungerei anche in America. Riteniamo che ci vorranno due-tre anni per raggiungere le aspettative di crescita inizialmente attese per il 2020. Probabilmente ne usciremo con catene di fornitura più regionali, ma la proiezione globale delle aziende continuerà ad avere un ruolo decisivo per la crescita a lungo termine.

Oltre al “Mola mia” c’è forse un motto in cui si identifica la vostra azienda?

Più che in un motto, la nostra azienda si identifica in una serie di valori che reputiamo fondamentali. In primis, la responsabilità di impresa verso i nostri dipendenti e verso il territorio. Solo mettendo al centro le persone e il rispetto della loro integrità fisica e culturale è possibile crescere assieme e ottenere risultati soddisfacenti. Non solo, è importante che questo approccio si rifletta anche verso l’esterno in termini di correttezza e trasparenza, sia verso la comunità che le istituzioni.

Anna Franini
Anna Franini
Anna Franini, giornalista di Forbes e il Giornale. Scrive storie di Leadership, Imprenditoria, Innovazione. Intervista fondatori di aziende miliardarie, Premi Nobel, Breakthrough, Academy Awards, Pulitzer, Pritzker.
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