Yo Yo Ma (1955) è il violoncellista del secolo, personalità il cui peso specifico va oltre la sostanza d’artista. Qui la mia intervista esclusiva.
Ha suonato per nove presidenti d’America, il primo fu JF. Kennedy: aveva 7 anni e a volerlo per quel concerto fu Leonard Bernstein. E’ nel board del Forum di Davos, ha lanciato iniziative come la Via della Seta. In lui convivono modi e filosofie delle due superpotenze cui appartiene. Nato a Parigi da genitori in fuga dalla Cina, a sette anni era negli Usa, Paese che l’ha lanciato, sostenuto e ancor prima forgiato: alla Juilliard School e alla Harvard, perché ha pure una laurea in Antropologia.
Ha pubblicato oltre 100 dischi, gli ultimi due – per Sony – sono una risposta alla pandemia. Comfort and Hope raccoglie la serie di brani che Yo-Yo Ma eseguì da casa – nel Massachusetts – durante il primo lockdown. Saranno devoluti a due fondazioni per musicisti in stato di indigenza, i ricavi della registrazione di febbraio, You’ll Never Walk Alone, in duo con la pianista Kathryn Stott.
Questa è l’ora più buia per i musicisti.
C’è chi ha cambiato professione, ed è difficile dirlo, ma fa parte della vita. Il dramma è quando non si è neppure nella condizione di poter cambiare.
In America i musicisti soffrono ancor più che in Europa. Al Met di New York non c’è stipendio da un anno.
E’ una situazione molto articolata, cambia da Stato a Stato. In Texas, per esempio, i concerti sono ripresi anche se con poche persone in sala. Lo stesso vale per Boston la vita concertistica sta riprendendo. Altrove è tutto fermo. Le piccole istituzioni sono già sparite. Così come è terribile la situazione dei freelance.
Per l’immediato futuro vede più ombre o luci?
Dobbiamo puntare tutto sui vaccini e su una buona organizzazione per la distribuzione, conta poi una certa disciplina per contenere i contagi. Non c’è altra via d’uscita se vogliamo tornare a una esistenza che valga la pena d’essere vissuta.
Chiedo a Lei che è stato premiato con la Medaglia Presidenziale della Libertà. Cosa è la libertà?
Libertà è sapere dove sono i limiti e capire quando possono essere superati. Nasce dall’equilibrio tra forma e contenuto, capita che il contenuto superi la forma o che la forma imbrigli il contenuto perché l’essere umano ha limitazioni in termini di mente, immaginazione e corpo. C’è lo slancio a volare, ma anche la forza di gravità che ti riporta a terra.
Come si concilia la libertà d’artista con la cancel culture?
Ammetto che non capisco fino in fondo questa nuova espressione, forse perché considero “cultura” tutto ciò che l’umanità ha inventato, a partire dai primi strumenti per l’agricoltura alla fisica e politica. Non mi è chiaro cosa si possa cancellare della cultura. Vogliamo cancellare, che ne so, Caravaggio? Veramente?
Il suo penultimo cd s’intitola “Consolazione e speranza”. Cosa la fa star bene aldilà della musica?
Non lo dico perché l’intervista è per un media italiano, ma nei momenti più tristi della pandemia confesso che chiudevo gli occhi e pensavo ai cipressi toscani, alla vostra bella architettura, mi immaginavo in una trattoria versando olio su pane e pomodorini, con la forchetta che affonda in una pietanza. Poi stappo una bottiglia di vino. Questa è l’Italia, un mix di sapori e di riti: pensarla mi dà sollievo.
Lavora spesso con Riccardo Muti, Sollima, collaborò con Morricone. Suona uno Stradivari e un Montagnana. Che altro è l’Italia per lei?
Fabiola Gianotti, direttrice del Cern. Siamo entrambi nel board di Davos. E’ donna di scienza, ma anche grande umanista, conosce il greco, il latino, parliamo di tutto.
Ed è pure pianista.
Vede queste registrazioni sul mio iphone? Me le ha mandate lei. Ci scambiamo spesso brani musicali. L’ultimo è l’Arpeggiane di Schubert.
Cosa fa un violoncellista al Forum di Davos?
La musica non nutre le persone e non risolve i conflitti, però tutti dobbiamo giocare il nostro ruolo. Non so quanto possa contribuire all’umanità, però voglio essere utile, anche solo ricordando che dobbiamo ripartire dai valori.
Quali anzitutto?
Fiducia, servizio e verità.
Una verità che spesso sfugge agli economisti è che la cultura fa bene all’anima ma anche al pil.
Dipende come si misura ricchezza e benessere di un Paese. Usiamo l’indicatore economico oppure con quello della felicità come si fa nel Buthan? Ora i termini in gran voga sono ambiente ed economia circolare, e in questo rientra finalmente anche l’arte. La musica si realizza grazie all’unione di mente, cuore e mani come i mestieri prima della Rivoluzione industriale. Oggi usiamo cose fatte, preconfezionate, addirittura precotte. Ma nulla dà più soddisfazione di ciò che realizzi con le tue stesse mani. A partire da un buon piatto.