Expo 2020 Dubai

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Lo sceicco di Dubai, Saeed Bin Ahmed Al Maktoum, è leader dinamico, alla guida di un Paese che – facendo di necessità virtù – più volte ha saputo cambiar pelle. In questo momento i riflettori sono puntati su Expo 2020 che per effetto del coronavirus slitta al primo ottobre: ma si farà.

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Expo 2020 dovrebbe generare nuova energia nell’Emirato venuto alla ribalta a suon di record, fra lussi sfrenati e architetture futuristiche. Mecca conclamata dello shopping, turismo e lifestyle, Dubai ambisce a diventare anche l’hub di riferimento in tema di sanità. Dopo il tonfo del dicembre 2009 ,quando una voragine finanziaria venne sanata grazie al pronto soccorso della vicina Abu Dhabi, la diversificazione dell’economia è un imperativo categorico. Politica, del resto, che dal 2000 è praticata in modo strategico dal Private Office dello Sceicco Al Maktoum, la società pensata per creare alleanze con le aziende leader del mondo. Conta 14 uffici, da San Francisco a Shanghai, l’ultimo nato (in febbraio) è a Milano e fa capo a Andrea Raimondi, executive director  di Private Office Italy e partner di R&P Consulting. Raimondi opera per conto della famiglia reale aiutando le aziende di casa nostra a posizionarsi nel mercato mediorientale. Prima seleziona, quindi valuta l’interesse della controparte araba, presenta il dossier a Dubai, procede alla negoziazione dell’accordo, fino all’avvio di attività.  A quel punto, la società diventa partner della famiglia reale, “la quale si attiva concretamente per fare in modo che le aziende vendano prodotti e servizi. Non è questione di marketing: si va dritti alla sostanza”, assicura il manager.

In Italia, è Raimondi il viso degli Sceicco. Conosce a fondo il mondo emiratino, vi opera dal 2008 come partner di R&P Consulting che ora ha una  filiale anche a Dubai. Per questo può osservare con giusta cognizione di causa che “se le nostre aziende saranno già operative a Dubai, vuol dire che per sei mesi potranno confrontarsi con il mondo del business globale al fianco della famiglia Al Maktum: un momento raro per essere efficaci a livello internazionale. Essere soci della famiglia reale di Dubai è molto importante per quel tipo di cultura.  Vuol dire saltare una serie di passaggi perché c’è chi garantisce per te”. 

 

Che dire delle ripercussioni del Covid-19 sull’area del Golfo? “Ritengo che proprio il mercato medio orientale possa essere fra i più interessanti al mondo per sostenere la ripresa economica quando questa crisi da coronavirus sarà passata e si potranno riprendere le “normali” attività economico-produttive. Questa mia convinzione si fonda sul fatto che proprio il mercato Mediorientale è fra i più veloci e reattivi mercati esistenti, che, per via delle oltre 200 nazionalità differenti che popolano Dubai, sia fra i mercati più efficienti nell’adattarsi ai cambiamenti e non ultimo sia fra i mercati con la maggior disponibilità finanziaria al mondo”.

Abbiamo chiesto a Raimondi che profilo debba avere un’azienda per risultare appetibile agli occhi del Golfo? “Deve essere sana, con una capacità produttiva adeguata al mercato, che a sua volta deve essere reale e non solo nominale. Lo Sceicco è  follemente innamorato delle PMI italiane. Negli Emirati è chiaro che l’eccellenza italiana riposa lì”. Altro criterio: fiducia massima. “La famiglia reale vuole potersi fidare ciecamente dell’azienda dal momento che poi ne diventerà partner”. Per questo i parametri di selezione sono restrittivi. Quanto? “Su 100 aziende esaminate, ne presento non più di dieci, e fra queste entreranno nel circuito sette al massimo”. E’ stato il caso della milanese Village di Stefano Blanco e della Wolf Haus di Bolzano, leader nelle case prefabbricate in legno. Una volta atterrate negli Emirati, le aziende vengono supportate da R&P che interviene nel colmare il gap culturale che vi può essere fra le due diverse modalità di fare business. Perché la chiave del successo sta proprio nella risoluzione delle differenze culturali.

 

“Mi sono imbattuto in aziende italiane di assoluta eccellenza, ma che la famiglia reale non ha ritenuto adeguate ai propri standard. Spesso era sbagliata la comunicazione, e sono sorti malintesi. Nel mondo arabo la faccia ha un valore inestimabile. Mi spiego. A una prima riunione con un arabo, solo gli ultimi minuti sono dedicati al business. Prima c’è una lunga fase esplorativa in cui si parla della famiglia e  passioni. Ed è un errore pensare che questa sia una perdita di tempo. Se trasmetti la sensazione di provare fastidio, è finita. Ho visto forzare il discorso sul tema degli affari: era troppo presto, e la controparte si offese”. Altro errore che porta dritti al fallimento: “mai superare un anello della catena. Le gerarchie vanno rispettate. E’ un concetto culturale”.

Le aziende prediletta per lo sbarco a Dubai vengono identificate nel mondo del lusso, tecnologia, bioteconologia, software, meccanica, difesa, idrocarburi, healthcare e telecomunicazioni. In primis, conta l’eccellenza. Vedi il caso Wolf che appunto non appartiene a nessuno di questi segmenti prediletti. Il costo dell’intera operazione? “Non c’è tariffario. Ci mettiamo a un tavolo, e  decidiamo assieme come si dividono pani e pesci. Se hai un prodotto eccellente, ma hai un margine di guadagno pari al 7%, non ti viene chiesto il 10%. Viceversa se hai un margine del 75% allora  potrebbe essere chiesta una percentuale del 20%”.

Anna Franini
Anna Franini
Anna Franini, giornalista di Forbes e il Giornale. Scrive storie di Leadership, Imprenditoria, Innovazione. Intervista fondatori di aziende miliardarie, Premi Nobel, Breakthrough, Academy Awards, Pulitzer, Pritzker.
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