Come ogni valley che si rispetti, anche quella biomedicale di Mirandola, a nord di Modena, ha il suo big bang nell’intuizione di un uomo che s’industriò nel garage di casa e tirò fuori dal cilindro la gran novità. Quell’uomo si chiamava Mario Veronesi (1932-2017), farmacista che si scoprì imprenditore. All’alba degli anni Sessanta, quando l’Italia viveva la fase economica più felice della sua storia, comprese un bisogno e decise di realizzare i primi prodotti monouso in plastica pvc per uso medico.
La Ur-Mirandola
Nel 1962 fondò la prima delle sue quattro startup: Miraset, nome pragmatico dove ‘Mira’ sta per Mirandola, mentre ‘set’ indica la linea dei tubicini in pvc. A realizzare i raccordi di plastica per l’aggancio ai tappi delle bottiglie e agli aghi delle flebo pensò la Comef di Ottavio Ferrari, avviata nello stesso anno.
Mirandola, l’hub biomedicale
In questa terra di canto (Luciano Pavarotti), motori (Enzo Ferrari) e gastronomia (Massimo Bottura) veniva così posata la prima pietra di un distretto che da Mirandola si è allargato a Carpi, Medolla, Concordia sul Secchia, Cavezzo, San Felice sul Panaro, San Possidonio e San Prospero, fino a Poggio Rusco, nel mantovano. Il tutto nel raggio di 35 chilometri da Mirandola. È presente la filiera nella sua interezza, dalla componentistica alla produzione di macchinari elettromedicali e apparecchiature elettroterapeutiche ad alto grado di sofisticazione, strumenti e forniture mediche anzitutto di beni plastici monouso.
Nel polo sono attive 64 aziende, compresi i fornitori. Si contano quattromila addetti, il 75% dei quali lavora nei gruppi internazionali. Del resto, le piccole realtà via via sono state acquisite da grandi gruppi italiani e stranieri. Un salto dimensionale che è una delle condizioni necessarie per assicurare l’alto livello di innovazione richiesto dal settore. Le aziende sono più di 200 se si contano quelle attive nel metalmeccanico ed elettronico che operano sia per il biomedicale che per altri settori.