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Mehta, soffro lontano dal podio

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Il direttore d’orchestra Zubin Mehta (Bombay, 1936) è  spontaneo e autentico, con quell’impagabile autoironia che fuga capricci d’artista, e la cosa  lo rende immune dalle vanità e fragilità della stella qual è. E’ un pezzo di storia della musica e in particolare del Teatro alla Scala, tra i primi a rimettervi piede dopo il lockdown. Dopo  Traviata,  da oggi avvia due serie di concerti dedicati a Strauss e – in ottobre – a Mahler alla testa dei complessi scaligeri.

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Prima è stato lontano dal podio per una malattia, finalmente sconfitta, quindi per la pandemia. Quanto è sopportabile la lontananza dal podio?

Posso solo dire che lontano dal podio  soffro. 

E quanto soffre nel dirigere i professori d’orchestra distanziati?

I musicisti sono incredibilmente flessibili, mai un lamento. Gli ottoni sono in fondo, quasi a un chilometro di distanza, eppure nessuno dice nulla. A parte il fatto che in Traviata quest’orchestra potrebbe suonare anche senza un direttore, respira con i cantanti. 

Giuseppe Verdi è nel dna della Scala. Cosa dice sul fronte di Strauss e Mahler in programma da oggi?

L’orchestra della Scala è una compagine molto flessibile, non ho dovuto fare lezioni sul suono viennese anche perché con Daniel Barenboim hanno lavorato bene su Strauss, è stata un’ottima scuola. Addirittura vengono suonate trombe viennesi, dal suono rotondo e morbido. Poi è bravissimo il primo violino Laura Marzadori in Vita d’eroe, è lei che fa la scena della seduzione (ndr La compagna dell’eroe). Quando mi ha fatto sentire la sua interpretazione non ho avuto grandi cose d’aggiungere. 

Ha appreso Strauss e Mahler a Vienna, come se uno venisse avviato alla cucina italiana nella bottega di Gualtiero Marchesi o imparasse l’arte del vetro a Murano…

Strauss e Mahler sono i due compositori della mia gioventù. Sono cresciuto a Bombay, e lì avevamo un’orchestra di dilettanti con gli ottoni che suonavano nella banda della Marina, e indossavano pure la divisa. Tanta musica classica l’avevo conosciuta tramite i dischi, avevano però una pessima qualità del suono. Quando a 18  anni arrivai a Vienna e sentii i Wiener nella loro sala, rimasi sbalordito. Del resto, erano i custodi della tradizione di Strauss e Mahler, si passavano la cultura  del suono da professore ad allievo perché è vero che i componenti dei Wiener venivano selezionati tramite concorsi, ma alla fine a vincere erano sempre gli allievi. Dopo sette anni di questo suono nelle orecchie, quando andai a lavorare in Canada e  in California feci ascoltare ai musicisti alcune registrazioni viennesi, spiegai la mia idea di suono, chiesi che suonassero con trombe e clarinetti viennesi.  Capirono e mi accontentarono. Una clarinettista di Los Angeles, in pensione dall’anno scorso, ha poi sempre suonato con un clarinetto viennese. 

Mehta e la Scala. Che dire?

E’ una vita. Ormai siamo alla terza generazione di professori d’orchestra se calcoliamo che il mio primo concerto fu nel 1962. Che tempi! Ricordo il  sovrintendente Ghiringhelli che si lamentava con il  direttore artistico Francesco Siciliani dicendo che nel tempio della lirica, la casa di Toscanini, l’anno prima era venuto un  Giapponese, che era poi Seiji Ozawa, ed ora arrivava un Indiano. “Magari andrà in scena col turbante”, temeva. Finì che diventammo amici

Come ha trovato la Milano che si riprende dalla batosta?

Mi muovo fra l’hotel e il teatro. Non posso dire granché, se non che sono stato nel ristorante indiano Taj Mahal ed era eccellente. Lo consiglio, pietanze piccanti come piacciono a me. In generale, ho trovato tanto autodisciplina, anche durante le prove i musicisti indossano la mascherina. 

Avrebbe dovuto portare questa Traviata in Giappone e in India. Poi il coronavirus…

Quanto soffro per la mia India. Chissà quando potrò tornarvi. Tutti piangono perchè il Governo fa quasi niente.  Nel centro di Bombay c’è una baraccopoli con 1.5milioni di poveri, le persone vivono in sette nella stessa stanza e non sanno neppure se hanno febbre da Covid. Persone arrivate lì da Calcutta e Dehli per lavorare nelle costruzioni ma che ora sono bloccate per cui loro tentano di rientrare nei propri villaggi a piedi, fanno centinaia di chilometri ma i più muoiono di fame per strada. E’ tutto terribile. 

La Sua dimora principale è a Los Angeles. E’ forse cittadino americano e quindi prossimo al voto?

Sono cittadino indiano, ho una green card per cui pago le tasse in America, a differenza di Trump: visto cosa sta svelando il New York Times? L’India mi manca e mi manca tanto non poter parlare nella mia lingua parsi, tento talvolta con mio fratello però  io parlo parsi e lui risponde in inglese. Mah. In compenso, un amico ha  tradotto Traviata in lingua parsi per la tournée che poi è saltata. 

E’ molto legato al Maggio di Firenze di cui è direttore onorario a vita. Cosa ha pensato quando ha saputo che  sarà  in stagione  James Levine: il leggendario direttore allontano dal Met di New York per le accuse di  #metoo?

Mi sono subito congratulato con il sovrintendente Alexander Pereira. Ha fatto bene a invitarlo. 

Si è congratulato di persona  con Levine?

No perché non siamo in contatto. Daniel (Barenboim) ha provato a sentirlo ma nessuno riesce a raggiungere  Levine in questi ultimi tempi.

Anna Franini
Anna Franini
Anna Franini, giornalista di Forbes e il Giornale. Scrive storie di Leadership, Imprenditoria, Innovazione. Intervista fondatori di aziende miliardarie, Premi Nobel, Breakthrough, Academy Awards, Pulitzer, Pritzker.
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