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Il direttore è il Re. È pagato per esserlo. E paga per questo (Riccardo Muti)

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Riccardo Muti (Napoli, 1941) è il musicista italiano vivente che più ci rappresenta nel mondo. E’ artista per il quale basta il nome: che lo si pronunci in  Europa, Usa, Medio o Estremo Oriente, non chiede spiegazioni. In sintesi, è “Il direttore d’orchestra”. L’articolo determinativo “Il” scaturisce da una carriera con pochi pari, avviata a 26 anni  con la vittoria del Concorso Cantelli. Alla medaglia d’oro seguiva l’incarico al Maggio Musicale di Firenze e al contempo gli impegni  con i complessi di Londra e di Filadelfia, quindi tre figli e al fianco la moglie Cristina, vulcanica romagnola che nel 1990 posò la prima pietra del Ravenna Festival tra l’altro in corso in questi giorni. Per 19 anni, fino al 2005, Muti è stato direttore musicale della Scala, e dal 2010  riveste lo stesso ruolo con la Chicago Symphony Orchestra: la Ferrari musicale d’oltre Oceano. La Ferrari orchestrale al di qua dell’Atlantico sono invece i Wiener (oltre che i Berliner) Philharmoniker, per intenderci i protagonisti del concerto di Capodanno da Vienna; nessuno li ha mai diretti tanto quanto Muti che con i suoi Viennesi ha sviluppato un rapporto che dura dal 1971, ne ha celebrato il secolo e mezzo di vita, li ha condotti in sei concerti di Capodanno e con loro festeggerà i 200 anni della Nona Sinfonia di Beethoven, il monumento  che culmina con l’Inno alla Gioia ora inno d’Europa. 

Riccardo Muti è leader fra leader. Spieghiamoci. Quello del direttore d’orchestra è  un mestiere che fisiologicamente chiede a chi lo esercita un temperamento da leader: raggiunto il podio, bisogna far convergere tutti, e in contemporanea, verso la propria idea interpretativa altrimenti è cacofonia, disarmonia, anarchia. “Noi dobbiamo fare in modo che gli orchestrali possano esprimere il meglio di sé, ma all’interno di un’architettura: e siamo noi a fornirla. Il direttore è il Re. È pagato per esserlo. E paga per questo”, spiegò – Muti – durante un corso a un giovanotto aspirante direttore.

Che Muti sia il numero uno non lo dicono – solo – le classifiche, per natura opinabili. Lo dicono le migliori orchestre, che appunto lo vogliono. Proprio per questo smalto internazionale e l’essere ambasciatore della cultura, Muti ha fatto suo un progetto nato in seno al Ravenna Festival. Sono le Vie dell’Amicizia, alla 27esima edizione, il 9 luglio sono approdate in Giordania e l’11 a Pompei. Sono pellegrinaggi laici, che toccano città ferite, riallacciano antichi legami con luoghi che hanno fatto la storia. Per l’Ur-Via dell’Amicizia si va al 1997, quando  Muti portava tra le macerie di Sarajevo i complessi della Scala. Poi fu la volta, fra gli altri, di Beirut, Gerusalemme, Il Cairo, Damasco, Nairobi, Teheran. Fra le Vie più suggestive quella del 2010: con quel salotto a cielo aperto che è la piazza Unità d’Italia di Trieste, il mare come fondale, e sul palco 360 musicisti e coristi diretti da Muti. Nel parterre c’erano i capi di Stato di Italia, Slovenia e Croazia, rispettivamente Giorgio Napolitano, Danilo Türk e Ivo Josipovic, lì per una riconciliazione, sulle sponde ferite dell’Adriatico si celebrava una stretta di mano a 35 anni dagli accordi – a tavolino – di Osimo. Un cerchio che si chiudeva.

Il 9 luglio nel teatro romano della Pompei d’Oriente che è Jerash, Muti ha diretto l’Orchestra Giovanile Cherubini e il Coro Cremona Antiqua tutt’uno con musicisti giordani. In programma pagine dall’Orfeo ed Euridice di Gluck, arie e cori dalla Norma di Bellini, inclusa la gemma “Casta diva”, il Canto del destino di Brahms. C’è il gran concerto serale ma anche la visita del campo rifugiati di Za’atari, al confine con la Siria, per un momento musicale con artisti siriani della diaspora e musicisti residenti nel campo ai quali sono stati donati strumenti musicali.

Per questo 2023 è stata prescelta la Giordania poiché Paese che assicura sostegno ai campi profughi, al fianco dell’Agenzia ONU per i Rifugiati e delle organizzazioni internazionali, poiché accoglie e integra nelle proprie comunità, città e villaggi, la maggior parte dei settecentomila profughi  arrivati dalla Siria, Iraq e Palestina. Il dialogo fra Italia e Giordania si compie anche nel segno del mosaico grazie a un ponte tra il Comune di Ravenna, scrigno di splendidi mosaici bizantini, con la città giordana di Madaba, culla di mosaici bizantini e omayyadi.

L’Italia è il Paese della musica, abbiamo inventato il rigo musicale, le note, i due strumenti principe, il pianoforte e il violino, l’opera, l’agogica per cui sia ad Amburgo che a Pechino, a San Francisco o a Tokyo è normale esprimersi con i termini Allegro, Adagio, Prestissimo e via discorrendo. Eppure è un’arte che bistrattiamo chiudendo le orchestre, negando una formazione musicale ai nostri ragazzi, quella che poi consente di fruire e di gioire della musica oltre che di riempire le sale da concerto offrendo – al contempo –  un pubblico ai nostri migliori musicisti: in fuga dall’Italia. Perché è un dato di fatto, i giovani  tricolore che più brillano finiscono regolarmente nelle orchestre straniere. Finito il concerto e deposta la bacchetta, vediamo spesso Muti lanciare appelli – soprattutto se al cospetto di cariche istituzionali – scoccare frecce da giornali e tv a sostegno di un’arte così tanto ferita. Impiega la propria autorità e reputazione per ricordare a chi sta ai posti di comando che il sistema culturale di casa nostra è in caduta libera. “Vorrei che i proclami fatti da decenni venissero ascoltati. Nelle scuole deve essere ripristinato l’insegnamento della cultura musicale. L’Italia vanta la storia della musica più importante del mondo. Dobbiamo essere degni del nostro passato. Mi sento una voce che grida nel deserto, ma continuo a far battaglie: non per me, io ho avuto la fortuna di formarmi alla severa scuola italiana, lo dico per le generazioni a venire. Io parlo come musicista, ma è un discorso generale: dobbiamo far sentire che siamo italiani, e questo non ha niente a che fare con nazionalismi e sovranismi, è la consapevolezza di appartenere a un grande Paese”, spiegò  alla scrivente tempo fa. 

Si batte con parole e fatti concreti. Nel 2004, ha creato l’orchestra giovanile Cherubini, un complesso di formazione dove giovani promesse lavorano tre anni con il Maestro per poi spiccare il volo altrove, palestra per soli Italiani. Nel 2015 ha avviato l’Italian Opera Academy, progetto formativo per direttore d’orchestra, cantanti, pianisti accompagnatori che sotto la guida di Muti imparano come si costruisce un’opera, mattone su mattone, battuta dopo battuta. Pezzi di vita spesa fra podi di valore e studio severo sono la sostanza di lezioni quotidiane pensate per “insegnare ai giovani direttori che la nostra musica non è seconda nessuna. Deve essere trattata con il rispetto che si dedica agli autori d’Oltralpe” ricorda puntualmente Muti che vive la docenza come una seconda pelle. Leader anche in e per questo. 

Anna Franini
Anna Franini
Anna Franini, giornalista di Forbes e il Giornale. Scrive storie di Leadership, Imprenditoria, Innovazione. Intervista fondatori di aziende miliardarie, Premi Nobel, Breakthrough, Academy Awards, Pulitzer, Pritzker.
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