Jonas Kaufmann è il tenore numero uno al mondo, il grande nome che fa la grande differenza nei teatri d’opera. Nel senso che li riempie in un baleno, sebbene con altrettanta velocità si svuotino se dà forfait, come accaduto mesi fa per un problema – risolto – alle corde vocali.
Di Monaco, 48 anni, colto, smart, sguardo tenebroso e fisico atletico, Kaufmann è al culmine della carriera. In settembre esce l’ultimo cd per Sony: L’Opéra, una selezione di arie francesi con la Bayerische Staatsorchester diretta da Bertrand de Billy. Quanto all’Italia, bisogna aspettare il 22 dicembre per il prossimo appuntamento: a Roma, con Tony Pappano alla direzione dell’orchestra di Santa Cecilia.
Perché un omaggio all’opera francese?
«È un repertorio che porto nel cuore, in questo album vi sono arie celebri ma anche pezzi e ruoli che sono stati determinanti per la mia carriera. Per esempio, con Carmen e Werther, nel 2001 a Toulouse, si spalancarono tante porte».
Ha inciso il penultimo cd con i Wiener Philharmoniker. Cosa rende unica questa orchestra?
«Anzitutto il suono inimitabile, frutto di una lunga tradizione. I Wiener sono poi la fonte autentica di compositori come Mahler e Richard Strauss».
Quando è costretto ad annullare una recita, come vive quelle ore?
«Male. Chi riuscirebbe a viverle con indifferenza? Ti senti miserabile, non solo per le cattive condizioni fisiche, sai che le persone saranno deluse e addirittura arrabbiate, hanno comprato un biglietto, prenotato aerei e hotel. E tu non ci sei».
Quando si riascolta, sente un pizzico di gioia o prevale l’insoddisfazione?
«È difficile gioire ascoltando i proprie dischi e interviste. Pensi sempre che avresti potuto fare meglio. Apprezzo alcune mie cose, ma mi concentro su ciò che deve essere perfezionato».
Quali ruoli procurano le più grandi insidie vocali?
«Placido Domingo ha detto che Des Grieux, nella Manon di Puccini, è più difficile di Otello, devi disegnare la metamorfosi di un giovane innamorato che si riduce a schiavo di Manon. Anche alcune frasi di Radames e Alvaro possono creare problemi».
E invece qual è il personaggio psicologicamente più difficile da reggere?
«Otello, regala tante emozioni però c’è il rischio di farsi travolgere. Devi esprimere i suoi dubbi, paure, arrabbiature, violenza, con la voce e il corpo. È determinate che in te ci sia una parte che controlli tutto, altrimenti ti perdi in un minuto».
A Londra ha appena debuttato in Otello, con Pappano. Un successo…
«Con Tony ho avuto la fortuna di creare tanti nuovi ruoli, oltre ad Otello, Faust (Berlioz), Don José, Cavaradossi, Des Grieux (Puccini), Andrea Chénier».
Nel 2018 canterà spesso Andrea Chénier, il titolo con cui apre la prossima stagione della Scala. Lei però non ci sarà, inutile confessarle che l’avremmo voluta… Le era stato offerto il ruolo?
Kaufmann, beniamino di passate Prime scaligere, non risponde (che per noi è una risposta). Il protagonista dell’Andrea Chénier del 7 dicembre scaligero sarà il marito di Anna Netrebko, e tenore, Yusuf Eyvazov.
Non inizia a pesarle il circo mediatico, le richieste dello star system?
«Le attività di pubbliche relazioni sono più stressanti dei momenti di studio e performance. Per non parlare delle sessioni fotografiche che possono essere più lunghe di un’opera di Wagner, con una differenza però: in Wagner hai qualche pausa, durante i servizi fotografici no».
Canta spesso a Monaco. Il fatto che sia la sua città fa la differenza?
«Eccome. Uscire di casa per andare al lavoro è assai più gradevole che stare in hotel, e muoversi con valigia al seguito. Sono così felice che dopo il debutto al Met il teatro della mia città sia ora la mia base».
È diventato Jonas Kaufmann nel corso degli anni. Come ha vissuto la fase precedente allo scoppio di luce procurato dalla Metropolitan Opera House di New York?
«Prima c’è stata quella chiamo una solida carriera europea. Il Met mi ha fatto entrare nella federazione internazionale. Diciamo che a quel punto ho sfondato».
S’innamorò dell’Italia da bimbo, durante le vacanze estive. Ora?
«Continua a piacermi la gente, la lingua, le città, i panorami, le coste, la musica, il cibo. Non potrei vivere senza pizza, pasta, gelato, caffé e dolci italiani».
Invece le note dolenti?
«Mi rattrista vedere che nel Paese del canto e dell’opera negli ultimi 30 anni abbiano chiuso tanti teatri».
Come vive il fatto che i media l’abbiano eletta a sex symbol?
«C’è voluto un poco per liberarmi di questo cliché ed essere preso sul serio. Non possiamo essere indifferenti alla forza dell’immagine nell’era dei dvd, dei siti web, di YouTube. Non è che mi offenda se leggo che sono bello e sexy, ma se un articolo si concentra su questo sorvolando sulla musica, allora dissento. E comunque, la bellezza aiuta a raggiungere la vetta più velocemente, ma per rimanervi devi avere certe qualità vocali».
Ruolo che affronterà in futuro?
«Tannhäuser e il secondo atto Tristan in forma di concerto, a Boston e New York».