Bergamo e provincia stanno perdendo una generazione. La generazione della saggezza: quella dei nonni, ma in alcuni casi anche dei genitori. Colpiscono le immagini dei camion dell’esercito che portano le salme fuori provincia e regione perché i forni crematori bergamaschi non riescono a star dietro ai numeri. C’è poi tutta una realtà non raccontata di aree più remote dove si muore ancor più in silenzio. Accade in un’area d’Italia già silenziosa ed austera per natura.
Difficile trovare chi non abbia un lutto in famiglia. Ma come stanno reagendo i giovani?
Quanto gioca a loro favore la tempra bergamasca, quel “mola mia” che scorre nel sangue, l’imperativo categorico del “guai a lamentarsi e mollare il colpo” che ti inculcano dalla nascita? La speranza di una rinascita di un’area così martoriata riposa proprio in loro, negli adolescenti. La genetica aiuta. “Tanti nostri ragazzi sono impegnati sul doppio fronte: seguono la scuola, ma devono badare anche a genitori e nonni in difficoltà. Ho chiesto ai docenti di tener conto della situazione alleggerendo – se è il caso – il carico di lavoro. Ho potuto comprendere fino in fondo la situazione perché ho seguito i vari consigli di classe. Lì è stata chiara la portata dei lutti, di situazioni problematiche, perché per il resto non ho ricevuto lamentele da parte di famiglie o studenti. Siamo in Val Brembana, non si usa lamentarsi, non accadeva prima e neppure si verifica ora. Sono tutti molto asciutti e di poche parole” spiega Claudio Ghilardi, dirigente scolastico del Turoldo, istituto di II grado di Zogno.
“I ragazzi stanno tirando fuori energie che prima erano nascoste. Sono molto reattivi, un campione di resilienza. Mi mandano poesie e testi riflessivi per il nostro giornale, testi toccanti che sono un inno alla speranza, guardano avanti” spiega Maria Peracchi, dirigente dell’Istituto Superiore di II grado Oscar Romero di Albino, in Val Seriana. E qui, Tosca Finazzi, docente di tedesco, spiega che “c’è una generale accettazione del presente e preoccupazione per il dopo. Una preoccupazione però costruttiva: i ragazzi si chiedono cosa sarà utile fare quando tutto sarà finito. Vedo visi cupi, però c’è la tensione a guardare a come ricostruire il domani. L’eccezionalità della situazione li sta rendendo ancor più responsabili”.
Va detto che le nostre testimonianze provengono da aree che si sono attivate subito con la didattica a distanza, ben prima che arrivassero le indicazioni (fumose) da Roma. Qui la scuola affianca studenti e famiglie da un mese, c’è un atteggiamento doverista dalla dirigenza in giù che sicuramente si ripercuote sui ragazzi. E non può che essere il caso del Sarpi in Città Alta, il liceo classico dove si formò lo stesso sindaco Gori, il diretto scientifico del San Raffaele Vito Martino, l’albo d’oro è ricco. Per accedere alla classe prima, è gradita la lode, il 9 è il punto di partenza. “In queste settimane s’è acceso un forte senso di responsabilità, di alleanza fra studenti e tra studenti e docenti. Stiamo vivendo una fase difficile, io stesso ho perso mio fratello. Per questo ho aumentato le ore di ascolto psicologico, online ovviamente, e anche di meditazione. Da due anni, due volte la settimana, 15’ prima dell’inizio delle lezioni una docente esperta in meditazione incontra i ragazzi. Ora, sono aumentate le richieste e gli incontri sono tre”.
A proposito di resilienza, una studentessa della Val Seriana scrive che questa fase “ci sta dando oltre che una lezione, un’opportunità grandissima, che dobbiamo giocare a nostro favore, e ci chiede di riscoprire i valori primordiali, linfa vera di ogni felicità, e di riscoprire l’autenticità dell’amore e dello scambio tra persone in un tempo che ora più che mai ci appartiene, perché come scriveva Tasso: «Perduto è tutto il tempo, che in amar non si spende». Corinne è il nome.